I personaggi di G. K. Chesterton: Giobbe 3 – Il mistero di Domenica
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Domenica è davvero, in questo romanzo, un simbolo di difficile interpretazione. Se infatti alla fine dell'inseguimento egli stesso si presenta: "Io sono il giorno del riposo" rispose l'altro, immobile "Io sono la Pace di Dio"(GKC, L’uomo che fu Giovedì, pag. 189), nel corso del romanzo spesse volte accade di pensare che egli rappresenti in realtà l'universo. Mentre lo inseguono per la campagna i sei si scambiano le loro opinioni su di lui, che sono anche parallelamente le loro opinioni sul mondo. Sabato l'ottimista dice:"Io ho sempre avuto una simpatia per il vecchio Domenica, per quanto malvagio"(Ibidem, pag. 173). E' tipico del patriota cosmico, amare il mondo al di là del giudizio che su di esso può dare, essergli fedele per simpatia prima di giudicarlo. Al primo impatto Domenica è sembrato a Lunedì il filosofo "qualche cosa di ottuso e insieme di triste, insito nella natura delle cose [...] l'espressione più bassa della materia, la più informe e la più laida" (Ibidem, pag. 175).
Lo paragona al protoplasma informe; ed è una descrizione tutto sommata accurata di che cosa è il mondo per il filosofo materialista e pessimista. Mercoledì lo paragona alla Natura stessa, distratta e crudele, Martedì il semplice non ci vuole neppure pensare, come a qualcosa di troppo grande per lui. Venerdì arriva a dubitare della sua esistenza, perchè i tratti del suo volto enorme non si riuniscono a formare un viso, ma si dissolvono sfuggendo allo sguardo, così come davanti alla sua anima tormentata il reale stesso si dissolve nei dubbi. E' Syme-Giovedi che tira le somme di questi discorsi: ognuno di loro ha paragonato Domenica all'universo intero. Anche per Syme è così:"Anch'io mi accorgo di pensare di lui quello che penso del mondo intero. [...] Quando vidi la sua schiena, capii che era l'uomo più cattivo del mondo[...] Guardandolo di fronte seppi che era un Dio"."Pan" disse il professore con aria sognante "Era un Dio e una bestia"(Ibidem, pag. 178).
La frase con cui egli si rivolge loro, la prima volta che gli chiedono conto di chi egli sia, regge entrambe le simbologie:"Ma io vi dico che avrete scoperto la verità fin sull'ultimo albero e fin sulla nube più alta, prima di scoprire la verità su di me. Voi capirete il mare, e io sarò ancora un enigma; saprete che cosa sono le stelle, e non saprete che cosa sono io. Sin dall'inizio del mondo gli uomini mi hanno incalzato come un lupo: re e sapienti, preti e legislatori, tutte le chiese e tutte le filosofie. Ma io non sono stato ancora preso, e i cieli cadranno, il giorno che mi volterò per affrontarli."(Ibidem, pag. 163).
Chi è dunque Domenica? Se il capo della polizia nell'ombra può senz'altro essere Dio, ripugna certo alla concezione cattolica che egli sia anche il capo degli anarchici, l'autore del male. Pare che Egli si spinga un po’ troppo in là, nel suo mettere alla prova i suoi seguaci: ecco che ritorna Giobbe, con le sue appassionate proteste. E un'eco della risposta di Dio a Giobbe non risuona in queste ultime parole di Domenica, nel suo richiamare alla ignoranza umana persino dei misteri più piccoli della creazione, e alla temerarietà del voler sapere chi è Lui, Mistero ben più grande di quelli? Per tutti i lettori il mistero di Domenica è il nodo centrale del romanzo: rappresenta dunque l'universo, commistione di bene e di male, insieme buono e cattivo, o Dio stesso? E se così fosse, come spiegare la sua compromissione col male, lo scandalo del suo essere anche capo degli anarchici?
Ciò che rende difficile la risposta è che il simbolo stesso ondeggia tra le due interpretazioni. Questo romanzo è stato scritto da Chesterton in un periodo in cui la sua filosofia è ancora in farsi, ed egli cerca faticosamente di liberarsi da un oppressivo pessimismo, senza ancora essere arrivato alla fede in un Dio creatore: il contenuto del simbolo segue gli ondeggiamenti del suo pensiero ancora impreciso.
Nell'autobiografia Chesterton rende conto di questa sua creazione in questi termini:“Ma il fatto è che tutta la storia rappresenta l'oppressione delle cose, non come sono, ma come apparivano al giovane pessimista degli anni dopo il 1890; e l'orco che ha l'apparenza brutale ma che è anche segretamente benevolo non è tanto Dio nel senso di religione, o d'irreligione, quanto piuttosto la Natura come appare al panteista, il cui panteismo sta lottando per uscire dal pessimismo”. (GKC, Autobiografia, pag. 101).
Che si voglia interpretarlo come Dio o come universo, Domenica è l'origine a cui chiedere conto del perchè del male. Di nuovo infatti i sei, ognuno secondo il suo temperamento, si fanno avanti, malgrado abbiano raggiunto ormai la pace, la fine delle loro avventure e il riposo.
Domenica ha organizzato per loro una bizzarra festa, durante la quale tutti gli oggetti del mondo (uomini mascherati o l'universo stesso? Difficile dirlo nella atmosfera del romanzo che si fa sempre più una rarefatta atmosfera di sogno) danzano loro davanti. La festa li lascia appagati, è la giusta ricompensa delle loro fatiche; ma non spiega perchè quelle fatiche siano state necessarie. Ognuno di loro alza così la sua appassionata protesta. Ascoltiamo la voce di Syme, come sempre il portavoce più espressivo:"Io ti sono grato non solo per il vino e per l'ospitalità di questa sera, ma anche per tante corse e tante fughe, per tanta libertà di combattere e lottare. E tuttavia vorrei sapere. II mio cuore e l'anima mia sono calmi e felici, qui, come questo vecchio giardino, ma la mia ragione grida e protesta. lo vorrei sapere"(GKC, L’uomo che fu Giovedì, pag. 190).
Lunedì esige di avere le risposte che la sua intelligenza reclama, Martedì chiede con semplicità perchè gli sia stato fatto tanto male, Mercoledì trova assurdo il doppio ruolo giocato da Domenica, Venerdì ritiene di essere stato trascinato un po’ troppo vicino all'inferno. Solo Sabato l'ottimista ritiene di essere soddisfatto e si addormenta placidamente. I sei campioni dell’umanità hanno così posto il problema. Ma non ottengono una spiegazione: Giobbe, dice Chesterton nel suo saggio, non ottiene risposte, ottiene solo domande più grandi. "Dove eri tu?" lo incalza Dio senza tregua, dispiegandogli davanti tutta la sua terribile creazione; Dio riversa sull'uomo un Mistero ancora più grande. Ma Giobbe non ritiene di non essere stato soddisfatto: è anzi più soddisfatto della non-risposta di Dio, che delle risposte "umane" dei suoi consolatori. “Il libro di Giobbe risponde al mistero col mistero; Giobbe è confortato per mezzo di enigmi, ma è confortato. E' - come profezia -il tipo della cosa detta con autorità. Quando colui che dubita non può che dire "Io non capisco", è verissimo che colui che sa può soltanto rispondergli "Tu non capisci". E dietro questo rimprovero sorge sempre nel cuore un'improvvisa speranza: la sensazione di qualcosa che meriterebbe d'esser capita”. (GKC, L’uomo eterno, pag. 105).
Anche Domenica risponde con un Mistero più grande: fa entrare Gregory, il primo anarchico incontrato da Syme, e ormai anzi l'unico vero anarchico della vicenda. Egli è il ribelle irriducibile, che si avvolge nella negatività e desidera trascinare il mondo intero nella infelicità che si è scelto. "Oh, uomo infelicissimo, cerca di essere felice!" è difatti l'appassionato invito di Syme: ma egli risponde con la sua appassionata accusa:"Io vi maledico perchè siete sicuri!"(GKC, L’uomo che fu Giovedì, pag. 192).
Questo intervento di Gregory getta una luce nuova sul problema, che fa intuire a Syme il significato del dolore. Essi hanno sofferto almeno per poter rigettare in faccia all'Accusatore questa sua affermazione. Gregory è la lacerazione che rifiuta e contesta la Pace. A causa sua occorreva che la Pace conoscesse la lacerazione, che la loro sicurezza fosse passata al vaglio della sofferenza. Non è certo una risposta esauriente, una ragionevole e tranquillizzante spiegazione; pur nella tensione del paradosso, però, l'uomo può ritenersi soddisfatto, anche se il velo non è stato strappato. Già Syme aveva avvertito:"Volete che vi dica qual è il segreto del mondo? E' che noi conosciamo del mondo solo il rovescio: vediamo tutto da dietro..."(Ibidem, pag. 179).
Stando così le cose, è chiaro che una esauriente spiegazione dei supremi perchè dell'esistenza, tra cui appunto il perchè del male, in questa vita non ci è data. All'uomo è però sufficiente sapere che una ragione, anche se umanamente inattingibile, c'è. A Giobbe è bastata la schiacciante enumerazione degli effetti della Potenza e della Provvidenza di Dio nella creazione: è bastata la certezza che la risposta è un Mistero, qualcosa di incomprensibile ma di certo, l'intuizione che nasce dagli scarni accenti che Dio lascia cadere nella sua appassionata replica, che il segreto è comunque un segreto di letizia, di gigantesca e incomprensibile gioia. I razionalisti vogliono spiegare tutto, e arrivano a spiegazioni che non rendono conto, in profondità, di nulla. Il Cristianesimo lascia qualcosa nel Mistero, e in questo modo tutto il resto diventa chiaro. Il male del mondo non è stato riscattato rendendolo superficiale, ma lasciando che aggredisse fin nel profondo, lasciando che lacerasse la profondità stessa di Dio, sul Golgota. Le ultime parole di Domenica sono così l'eco di quelle di Cristo: "Chi può bere al calice a cui ho bevuto io?".