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I personaggi di G. K. Chesterton: il politico 6 - Come distruggere il popolo

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
Il progetto di Lord Ivywood mira a distruggere le osterie, luogo popolare per eccellenza, "luogo" della memoria del popolo e della sua solidarietà.

Lord Ivywood possiede una attiva capacità di male, che si esplica nel romanzo nel progetto di distruggere le osterie. Il pretesto è quello di giovare alle classi più umili, come recita la legge che il suo funzionario cita davanti a Pump, accingendosi a distruggerne l'osteria "La vecchia nave".
La legge é stata fatta per recare sollievo ai poveri [...] L'assenza di tali tentazioni contribuirà non poco, secondo la nostra opinione, a sollevare le precarie condizioni finanziarie delle classi operaie...” (GKC, L’osteria volante, pag. 60)
Già Dalroy medita però che:
Io penso che gli uomini del giorno abbiano tutti idee sbagliate su ciò che riguarda la vita umana. Pare come se si aspettino ciò che la Natura non ha mai promesso loro e viceversa fanno di tutto per rovinare ciò che la Natura ha dato loro realmente. [...] Non fanno che parlare di Pace, Perfetta Pace, Fiducia in Dio, Gioia Universale e di anime sorelle. Ma non sono per questo molto più allegri che gli altri, e tutto quello che fanno è distruggere tanti buoni scherzi, tante buone storie, tante buone canzoni e tante buone amicizie, abbattendo "La vecchia nave". (Ibidem, pag. 82)
Questo progetto è quindi essenzialmente ipocrita: afferma di voler giovare ai poveri, cui il liquore fermentato fa male, ma in realtà mira a distruggere le osterie, luogo popolare per eccellenza, "luogo" della memoria del popolo e della sua solidarietà, cui le parole di Dalroy accennano: gli scherzi, le canzoni, le amicizie di taverna sono parte integrante della vita del volgo. Tanto è vero che la legge ben si guarda dal vietare il liquore ai ricchi:
"Potete mangiare e bere qualunque cosa essenziale alla vostra fase di evoluzione, purché vi stiate evolvendo verso un ideale, sempre più chiaro, di vita corporale". (Ibidem, pag. 165)
Lord Ivywood aveva pensato che, col restringere l'uso delle vecchie insegne a pochi posti scelti e col proibire tali simboli artistici agli altri luoghi, egli sarebbe riuscito a togliere virtualmente al popolo il liquore fermentato. [...] Un’ insegna poteva diventare un favore concesso dalla classe dominante a sé stessa. Se un gentiluomo reclamava i privilegi di un pezzente, la via gli sarebbe stata aperta, ma se un pezzente reclamava i privilegi di un gentiluomo, la via gli sarebbe stata chiusa”. (Ibidem, pag. 261)
Ciò che si vuole colpire non è il consumo di bevande alcoliche, che rimane consentito in appositi locali, ovviamente esclusivi e destinati ai ricchi, ma il più classico dei ritrovi della gente comune. La concezione secondo la quale la morale è un cammino progressivo, che eleva l'uomo di gradino in gradino, dalla astensione dalle bevande alcoliche al vegetarianismo, verso chissà quali orizzonti di raffinatezza spirituale, serve ottimamente a giustificare lo champagne ai party, mentre la sollecitudine verso il popolo nasconde l'odio dell'aristocratico verso l'uomo comune, la cui vera filosofica radice è l'odio per la tradizione, per quell'innato istinto della verità che tiene il popolo nel solco della tradizione, l'odio del ribelle per la chiesa che l'ha generato. Lo stigmatizza Dalroy:
Ma ciò che è strano in loro è che si sforzano di essere semplici, ma non rinunciano mai ad una cosa complicata. [...] Perché essi rinunciano solo a quelle cose che li legano ad altri uomini [...] Egli non rinuncia che alle cose più semplici e più comuni: al manzo, alle birre, al sonno, perché questi piaceri gli ricordano che egli è solo un uomo”. (Ibidem, pagg. 224-225)