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I personaggi di G. K. Chesterton: il poeta 2 – L’osteria volante

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
La poesia è quel tipo di rapporto con la realtà assimilabile alla innocenza: è un guardare un mondo per come è, senza pregiudizi o precomprensioni di sorta. Questa nudità di sguardo del poeta coglie il mondo per come realmente è: e poiché il trascendente è il reale fondamento del mondo, lo sguardo del poeta va "oltre" il mondo, coglie al di là del segno, il significato.

Il quarto passo sulla via della redenzione è non uno stato d'animo, ma una azione: la pronta azione con la quale il poeta salva l'asino dal morso di una vipera, uccidendola. Molta strada è già stata fatta: perché normalmente la simpatia sarebbe stata più per il serpente, creatura esotica, che per l'asino. Certo uno che si interroghi se sia lecito chiedere ad un asino di tirare un carretto, potrebbe avere dubbi sulla liceità dell'uccidere una vipera, fosse anche per salvare qualche altra creatura. Se le creature sono sacre, non se ne può toccare alcuna. Ma Wimpole ha imparato che esiste una gerarchia, che un uomo è preferibile ad un asino: un asino può dunque essere preferibile ad una vipera. Nel momento decisivo, egli getta al vento tutte le sue sofistiche teorie sui diritti degli animali, e uccide la vipera. Come noteremmo meglio a proposito per Lord Ivywood, le teorie in voga tra gli intellettuali avevano l'unico risultato di paralizzare le scelte: infatti anche Lord Ivywood, che pure fa molte cose, agisce sempre sulle leggi, mai nei fatti. Dorian Wimpole entra con questa azione, che è una scelta e quindi una affermazione di valore, nel quarto stato d'animo: “Il trovare e combattere il male è il principio di ogni allegria [...] Ora egli domandava qualche comica avventura lungo una semplice strada inglese”. (GKC, L’osteria volante, pag. 247).
L'azione, la scelta, lo hanno fatto uscire da una impasse spirituale, che era anche una immobilità fisica: ma adesso, compiuto l'atto metafisico di combattere il male, egli riacquista la capacità di "muoversi", di agire, ma anche semplicemente di camminare fuori dalla foresta, tirandosi dietro l'asino; ed è precisamente ciò che fa.
Il quinto stato d'animo è lo stupore: scambiato per uno dei due fuggitivi (Pump aveva appena sparato a Lord Ivywood, ferendolo ad una gamba, quando egli lo ha incontrato nella foresta), a causa del suo temporaneo possesso dell'asino, egli sperimenta per la prima volta l'arroganza della legge, vista dalla parte dei poveri. Il sesto è la furia vera e propria, quando si ritrova davanti al cugino, e lo scopre colpevole del trattamento riservatogli, seppure per sbaglio: e rimettendo in gioco tutte le sue convinzioni, si situa ora dalla parte dei fuggitivi. Il settimo ed ultimo passo si compie davanti ad una cena a base di ostriche e champagne: la piena e gustosa rinuncia a tutte le precedenti prese di posizione, un gettare a mare il proprio sofisticato estetismo e la propria astratta etica, per tornare a godere delle cose nel solco della tradizione.
La differenza tra Lord Ivywood e Dorian Wimpole, la possibilità per quest'ultimo di salvarsi che non appartiene all'altro, è la poesia. Ad un certo punto rispetto a Lord Ivywood, l'autore depreca “Se Filippo Ivywood fosse stato realmente un poeta e non il suo contrario, un esteta...”(Ibidem, pag. 206). Dorian Wimpole è invece autenticamente poeta. Che cosa è dunque la poesia? E' un tipo di rapporto con la realtà. Il razionalismo è un tentativo di rendere la realtà in un complesso di fatti regolati da leggi perfettamente comprensibili e quindi dominabili. La poesia è quel tipo di rapporto con la realtà assimilabile alla innocenza: è un guardare un mondo per come è, senza pregiudizi o precomprensioni di sorta. Questa nudità di sguardo del poeta coglie il mondo per come realmente è: e poiché il trascendente è il reale fondamento del mondo, lo sguardo del poeta va "oltre" il mondo, coglie al di là del segno, il significato. Al di là, ma attraverso esso. “Ogni vero artista sente, consciamente o inconsciamente, che egli attinge verità trascendentali, che le sue immagini sono ombre di cose viste attraverso un velo. In altre parole il mistico per natura sa che di là c'è qualche cosa, qualche cosa dietro le nuvole e gli alberi; ma egli crede che perseguire la bellezza sia la strada per trovarla, crede che l'immaginazione sia una specie di incanto che riesca a evocarla”. (GKC, L’uomo eterno, pag. 112).
Come poeta e proprio perchè poeta e artista, quando viene messo di fronte alla serietà metafisica della contesa tra Lord Ivywood e Dalroy e Pump, Dorian Wimpole non può che essere di questi ultimi: perchè la filosofia di Lord Ivywood, la negazione del limite, è la negazione dell'arte perchè è la negazione della forma. Cosi davanti all'arte astratta di cui Lord Ivywood si è fatto paladino:[Lord Ivywood] "tutto si modifica, si trasmuta. L'esagerazione è progresso!"."Ma l'esagerazione di che?" domandò Dorian "io non posso trovare alcuna traccia di esagerazione, in questi quadri, perchè non vedo che cosa vogliano esagerare, amplificare. [...]. Si può cambiare, si può trasformare sì, ma solo fino ad un certo punto, dopo di che si perde ogni identità, e cioè si perde tutto”. (GKC, L’osteria volante, pag. 307)"Una cosa che è totalmente cambiata, non è più cambiata [...].Non vedete che questo fatto dell'identità è il limite posto a tutte le cose viventi?" "E io nego che ci sia un limite!" proruppe Filippo violentemente”. (Ibidem, pag. 308).
Il limite o forma è la realtà del reale, la sua natura propria: l'universo è creato, quindi definito e finito. Ribellarsi contro il limite è la follia di Lord Ivywood, follia evidente agli occhi dell'artista, del poeta. La forma definisce l'identità, e l'identità è condizione per l'esistenza e la vita, quindi positività.
Non si sta qui negando l'anelito al Più-che-finito, all'infinito, all'oltre, alle stelle: si nega che questo anelito possa risolversi nell'adorazione dell'indistinto, del nulla. Il trascendente non può essere la negazione del finito, deve in qualche modo giustificarlo. Abbracciare il limite, e l'infinito nel limite, è allora il genio dell'artista. Le cose parlano al poeta, gli dicono più di quanto dicano all'uomo distratto, perchè gli parlano del loro intimo significato che è l'infinito rimando a qualcosa che le trascende. Il poeta sembra così fuori del reale, poiché vive per metà nel mondo delle fate, ma è al contrario, l'unico vero realista: perchè il mondo delle fate, il fondamento trascendente, è più reale del reale. Wimpole non segue il cugino nel suo destino di perdizione perchè come poeta non può rinunciare al finito. Ricordiamo che Syme, il poeta di “L'uomo che fu Giovedì”, corrispondeva al giorno in cui Dio crea il sole, la luna e le stelle, cioè fissa la luce pura della creazione dentro delle forme determinate. L'arte ha bisogno di forme determinate, di limiti. Tuttavia cogliere il finito nella sua realtà significa anche riconoscere la sua insussistenza, il suo rimando perciò a ciò che non è finito. L'infinito di Lord Ivywood non è il vero infinito perchè dimentica, tralascia e non spiega il finito che tuttavia c'è; è un semplice indistinto, ciò che resta quando si nega il limite delle cose, cioè il Nulla. Il poeta abita una terra di confine più complessa: egli tende a ciò che è oltre le forme, ma da dentro le forme, oltrepassandole senza negarle. Cammina sul bordo di un abisso che ha da un lato il falso infinito, l'illusione d'infinito che è un indistinto Nulla; dall'altra la tentazione di assolutizzare le forme create, l'errore del razionalista che riduce il mondo a ciò che può misurare con i suoi strumenti.