I personaggi di G. K. Chesterton: l’umorista 2 – Lo scherzo della Londra medievale
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Per questa sua attitudine ad agire contro l'ovvio, Auberon Quin ama i riti che sono "l'opposto dell'ovvio": egli imposta tutto il suo agire nel fare il contrario di ciò che la gente si aspetta da lui. Eletto re, poiché Chesterton ambienta il romanzo in un ipotetico futuro in cui la monarchia è divenuta elettiva, sulla base di un elenco alfabetico di cittadini da cui il re viene estratto a sorte, egli si comporta come un discolo, spezzando le consuetudini con ancora più gusto, dal momento che sono consuetudini austere e cerimoniose. Egli è spesso in posizioni anomale, per esempio carponi per terra, quando non ritto sulla testa, ed usa gli oggetti non secondo il loro uso consueto, per esempio utilizzando la carta da parati come manifesto giornalistico, o indossando gli abiti all'incontrario. E' proprio il sommarsi della sua passione per i cerimoniali insensati e i riti incomprensibili, paradigmatici per lui dell'insensatezza del vivere, e dell'apprezzamento estetico per i colori sgargianti, il contrario della abituale tenuta da uomo d'affari londinese, che predilige le tinte smorte, che fa nascere nella mente di Auberon Quin, diventato per capriccio della sorte Re d'Inghilterra, il progetto di una Carta della Città, che reintroduca le antiche usanze medioevali. Ogni quartiere di Londra diventa una municipalità, dotata di sindaco, gonfalone, motto, di una divisa a sgargianti colori che deve essere indossata dal sindaco e dai suoi alabardieri di scorta. Non solo, il sindaco si incarica anche di inventare per ognuna leggende poeticamente ispirate ai nomi. I gonfaloni al vento, le vesti sgargianti, gli alabardieri con le trombe squillanti: una festa di colori resa ancor più sublime dal dispetto degli uomini seri, costretti ad assoggettarsi a questa pagliacciata. Il dramma, la triste burla, è che nemmeno così capita loro di riflettere sulla insensatezza dei cerimoniali cui si sono da sempre assoggettati per abitudine, senza riflettere. Non capita loro di chiedersi perché una divisa cremisi e oro è ridicola e un abito a coda no; perché sedersi sul proprio cappello, come egli pretende ad un certo punto da Barker, sia un modo di manifestare rispetto tanto più assurdo dell'alzarsi in piedi o inchinarsi. Cambiando bruscamente cerimonie e abitudini egli vuole aprire loro gli occhi: la Carta delle Città è la sua opera d'arte, con cui egli comunica il non-senso dell'esistenza: ma nessuno la vede come tale. Quando su questa scena compare Adam Wayne, Auberon Quin pensa per prima cosa che la sua opera d'arte sia finalmente perfetta, nel senso che essa ha trovato, finalmente, un pubblico in grado di capirla: un altro umorista, che possa capire lo scherzo, la triste burla della vita, la malinconica constatazione che i folli rituali da lui introdotti sono sì assurdi, ma non più assurdi degli ordinari rituali del mondo. Infatti “i macilenti sterratori o uomini - sandwich che reggevano il gonfalone di Bayswater o di South Kensington, assunti per un sol giorno allo scopo di soddisfare il bizzarro hobby regale, erano entrati nella sala, dinoccolati e scomposti, simili quasi a cani bastonati. Del resto, gran parte del piacere intellettuale che il Re ne traeva risiedeva nel contrasto tra l'arrogante appariscenza dei pennacchi e delle spade, e il rassegnato, mansueto squallore delle facce. Ma questi alabardieri di Notting Hill, con le loro tuniche scarlatte strette in vita da cinture d'oro, ostentavano al contrario un'espressione di assurda austerità. Si sarebbe detto, se così è lecito esprimersi, che partecipassero sinceramente al gioco. Pertanto incedettero e si schierarono con sorprendente disciplina e gravità”. (GKC, Il Napoleone di Notting Hill, pag. 69).