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I personaggi di G. K. Chesterton: l’innocente 2 - Le avventure di un uomo vivo

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
E' difficile per l'uomo essere buono. L'innocenza di Innocenzo Smith é l'unica innocenza che all'uomo, dopo la Caduta, é concessa. Non un’innocenza primitiva, spontanea, ma una innocenza che deve essere continuamente riconquistata, attraverso un lavoro e una sorveglianza su di sé, attraverso una ascesi.

L'inconsistenza delle cose, la semplice constatazione che esse non si sono fatte da sé, non consistono in se stesse e perciò sono caduche, mortali, non conduce alla disperazione e al disprezzo per esse, ma alla gioia e alla riconoscenza: perché disperazione e disprezzo oblitererebbero un dato oggettivo, che esse, malgrado tutto, ci sono. Neppure la morte é male per l'uomo innocente: dice Innocenzo Smith nel corso del romanzo:
Con il nostro spirito fiacco, empiremmo della nostra decrepitudine l'eternità, se non fossimo mantenuti giovani dalla morte. La Provvidenza ci ha tagliato l'immortalità a pezzetti, come la nutrice taglia a bastoncelli il pane imburrato al bambino”. (GKC, Le avventure..., pag. 140).
Questa posizione originale non è però affatto semplice o immediata, è frutto, come dicevamo, di un lavoro. Dice il giornalista Moon che pure si fa difensore di Innocenzo Smith nel casalingo processo che offre la materia al romanzo:
Non mettetevi in testa, vi prego che un atteggiamento simile davanti alla vita mi sembri facile, o sollevi in modo particolare le mie simpatie. [...]. Per conto mio sento che l'uomo è legato ad un destino angoscioso; e che non c'è scampo alla trappola del dubbio e del decadere. Ma posto che un rimedio ci sia allora, per Cristo e san Patrizio, non può essere che cotesto. Per conservarsi felici come un bambino o come un cane, non c'è che essere innocenti come il bambino; o, come il cane, incapaci di peccato. [...]. Innocenzo é felice per la ragione ch'egli è innocente. Può sfidare le convenzioni appunto perché sa osservare i comandamenti”. (Ibidem, pag. 217).
Quando uno dei due accusatori del processo obietta a questa teoria affermando di non credere che l'innocenza, la bontà, basti per essere felice, la risposta è definitiva: "E allora" riprese tranquillamente Michele" ditemi un po’ un'altra cosa. Chi di noi ci si è provato?"(Ibidem, pag. 217)
E' difficile per l'uomo essere buono. L'innocenza di Innocenzo Smith è l'unica innocenza che all'uomo, dopo la Caduta, è concessa. Non un’innocenza primitiva, spontanea, ma una innocenza che deve essere continuamente riconquistata, attraverso un lavoro e una sorveglianza su di sé, attraverso una ascesi. E' un'innocenza che consiste nell'osservare i comandamenti, che non erano necessari all'innocenza primeva, perché ha ormai conosciuto la colpa. In ognuno degli episodi criminosi, che poi rivelano avere di criminoso solo l'apparenza, Innocenzo stesso o un altro dei personaggi coinvolti affermano di avere finalmente compreso la natura malvagia degli atti che si accingevano o credevano di compiere. Innocenzo dopo aver puntato la pistola contro il proprio professore:“Ho imparato per la prima volta che l'assassinio è veramente una colpa” (Ibidem, pag. 140). Il curato socialista che l'accompagna durante l'atto di derubare la propria casa: “per la prima volta capivo che, tutto considerato, rubare è veramente una colpa”. (Ibidem, pag. 163). Di nuovo Innocenzo Smith, parlando in Russia con un seguace di Ibsen: “M'avete persuaso che, abbandonando la propria moglie, uno realmente commette qualche cosa di iniquo e pericoloso”. (Ibidem, pag. 185).
L'innocenza agisce come una cartina di tornasole, distinguendo tra il vero male, la colpa da ciò che solo sembra male, il contravvenire alle convenzioni. Lavorando contro l'abitudine per recuperare la propria innocenza, sia Innocenzo che gli altri personaggi che vengono a contatto con la sua vivificante presenza riacquistano la limpidità di giudizio sul bene e sul male. Più profondamente, solo facendo l'esperienza del male e rifiutandola, l'uomo può ancora essere innocente. Quando fu chiesto a Chesterton perché fosse entrato nella Chiesa Cattolica egli rispose "per liberarmi dai miei peccati"(riferito da Chesterton stesso in Autobiografia, pag. 327).
L'innocenza non è più possibile senza la fatica di un lavoro su di sé come quello cui si sottomette Innocenzo, e più profondamente senza un luogo ove sia possibile il perdono. Solo nell'innocenza, però, diventa possibile la felicità. Fin dall'inizio Innocenzo Smith irrompe nel romanzo come un gran vento, un vento di gioia, di rumorosa e dirompente allegria, che meraviglia e conquista tutti; e solo la sua presenza permette agli altri personaggi di uscire da una oppressiva impasse che è una profonda incapacità di agire per la propria felicità. L'innocenza del protagonista diventa così in un certo senso contagiosa, facendolo in qualche modo segno della Chiesa, luogo del perdono da cui l'uomo può continuamente ricominciare la sua via. Egli va via, lasciando dietro a sé due coppie in procinto di sposarsi, capaci finalmente di prendere una decisione impegnativa per la propria felicità. Solo il medico cui ha sparato, mancandolo di proposito, poiché stava affermando che non avrebbe festeggiato il proprio compleanno, giacché la vita non è qualcosa che meriti di essere festeggiato, (evento che ha dato il via al processo casalingo), se ne va via tale quale, senza aver in nulla cambiato le proprie opinioni. Quando persino l'altro accusatore del processo gli grida dietro che in realtà il colpo sparato da breve distanza l’ha mancato di parecchi metri, Moon, il difensore, ribatte sottovoce che il colpo lo ha mancato di parecchi anni, che Innocenzo è arrivato tardi e ch'essi hanno parlato, in realtà, con un uomo che è già morto.