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I personaggi di G. K. Chesterton: l’uomo comune 5 – Patrick Dalroy, la seconda metà dell’uomo comune

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
Sta qui tutta la differenza tra l'ottimista ed il cristiano: l'ottimista pretende di essere in tutto e per tutto felice in questo mondo, e finisce con l'essere ultimamente disperato; il cristiano sa di non essere fatto per questo mondo, sa di dover attendere un compimento che è oltre questo mondo: ed è quindi libero di soddisfare il proprio buon umore, di essere felice, per quanto può, in questo mondo in cui è un forestiero, nella fiducia che esiste una Provvidenza buona ed una meta di felicità che lo attende.

E' Lord Ivywood l'eversivo, colui che si ribella contro il proprio fondamento generatore, condannandosi da sé alla decadenza. Alla decadenza, ma non alla sconfitta: perché dipende dalla Provvidenza, ma dipende anche dagli uomini; il male può vincere, deve poter vincere perché la lotta contro di esso abbia un senso. Nel Cristianesimo, religione eroica, non c'è posto per i destini ineluttabili. C'è posto invece per gli eroi, della parola e della spada, come Dalroy, la seconda metà dell'uomo comune. L'impulsivo gigante irlandese passa come squillo di tromba per tutto il romanzo, fin quasi a farsi considerare il protagonista principale. Solo ad un più attento esame salta all'occhio che se sue sono le trovate più esilaranti, le canzoni, i discorsi, a Pump è affidata l'azione che offre scampo dalla polizia, a Pump è affidata la salvezza più spicciola, il trovare riparo e cibo, ed è di Pump tutto sommato la prima concreta azione contro Lord Ivywood, il suo ferimento. Se Pump è della tradizione l'elemento conservatore, duraturo, Dalroy ne è l'aspetto innovatore, il motore, quello che impedisce alla tradizione di fossilizzarsi; quello che permette alla tradizione di rinnovarsi restando sé stessa. Di Dalroy è l'iniziativa in ogni cosa, anche nella prima fuga dell'osteria volante, di Pump il trovare i mezzi perché l'azione iniziata continui, e la critica che ridimensioni le follie del compagno. Per esempio nell'esilarante episodio in cui Dalroy pianta l'insegna dell'osteria sopra l'ingresso del luogo dove la "Società delle anime semplici", sorta di circolo culturale dell'aristocrazia, è radunata per ascoltare una conferenza che verte proprio sul rifiuto delle bevande alcoliche, ed il luogo si riempie di popolani che conformemente alla legge (si possono consumare bevande alcoliche esclusivamente nei luoghi che espongono l'insegna) pretendono le loro consumazioni tra lo sgomento dei presenti, finché tra coloro che affermano non esserci mai stata l'insegna che Dalroy ha tolto, e quelli che giurano d'averla vista scoppia una rissa furiosa, che letteralmente distrugge il luogo della riunione. Pump allora rimprovera Dalroy di avere con il suo scherzo messo in pericolo le signore.
Dalroy è il tipo dell’avventuriero, del guascone in cerca d' avventura: "Io non so se Dio abbia fatto l'uomo per essere in tutto e per tutto felice. Ma Dio certamente vuole che gli uomini si divertano un po’, ed io per mio conto, intendo di andare avanti divertendomi. Se non posso soddisfare il mio cuore, voglio almeno soddisfare il mio buon umore". (GKC, L’osteria volante, pag. 183).
Sta qui tutta la differenza tra l'ottimista ed il cristiano: l'ottimista pretende di essere in tutto e per tutto felice in questo mondo, e finisce con l'essere ultimamente disperato; il cristiano sa di non essere fatto per questo mondo, sa di dover attendere un compimento che è oltre questo mondo: ed è quindi libero di soddisfare il proprio buon umore, di essere felice, per quanto può, in questo mondo in cui è un forestiero, nella fiducia che esiste una Provvidenza buona ed una meta di felicità che lo attende.
A Dalroy è anche affidata, nel romanzo, la parola. E' lui che con abilità avvocatesca degna del manzoniano Azzeccagarbugli scova nelle incongruenze della legge le scappatoie per evitare l'arresto e proseguire il "volo" dell'osteria volante. Egli partecipa della modernità, epoca della parola, quanto basta per possedere questa peculiare abilità, che esprime anche nelle canzoni, di cui è appassionato compositore. Per questo è anche lui che più spesso dà voce alla fede cristiana che è il fondamento della tradizione del popolo: è lui che legge l'azione di Lord Ivywood nella sua profondità metafisica: "E sebbene l'uomo sia un mattoide, è però un uomo coraggioso. Anche lui vuol fare un tunnel. Fra l'est e l'ovest. Per rendere più indiano l'impero britannico ed effettuare quella che egli chiama l'orientazione dell'Inghilterra ed io chiamerei la rovina della Cristianità". (Ibidem, pag. 122).
Ed è sempre lui che tira in ballo il nome che, non detto, è il fondamento del reale, la pietra angolare, il paragone e il significato di tutto: quando Dorian Wimpole lo accusa di aver voluto cavalcare l'asino, azione per lui immorale: "No" disse il capitano "io non cavalco mai un asino. Ho paura." "Paura di un asino?" esclamò Wimpole incredulo. Ci fu un breve silenzio poi Wimpole continuò freddamente "Oh, ma ormai siamo superiori a simili paragoni!". (Ibidem, pag. 218).
Quale sia il paragone lo rende subito palese il Capitano Dalroy osservando che è facile sentirsi superiori alla Crocifissione altrui. Abbiamo visto come egli citi la Bibbia contro il capitalista autore della truffa del Latte di Montagna; ed è lui in un altro episodio che illustra a beneficio del cane Quoodle la dottrina della libertà e della responsabilità che differenzia l'uomo dagli animali: “Un cane, mio caro Quoodle - continuava Dalroy - Non può essere così buono o così cattivo come un uomo. [...] Per esempio la persona che è lì a pochi passi da noi è, ad un tempo, stupida e cattiva. Ma bada bene, Quoodle, che questo dipende da un suo difetto morale, non mentale. Se io dovessi dirti un momento o l'altro: "Saltagli addosso, Quoodle" oppure: "Tienilo ben fermo, Quoodle", lo direi, bada bene, solo perché è cattivo, non perché è stupido”. (Ibidem, pag. 200).
Occorre così sommare queste due personalità per ottenere l'uomo comune: uomo che confida nella Provvidenza, senza perciò abdicare alla sete di avventure, di rischi, né alla propria responsabilità di uomo davanti al male; uomo di azione e di parola, che vive nel solco di una tradizione da cui prende e a cui dà, che rinnova assumendola; uomo riflessivo, saggio ed insieme gioioso, allegro, solidale; uomo non alienato, che desidera solo i mezzi per mantenersi, ignorando il denaro e dividendo ciò che ha con tutti, come Dalroy e Pump fanno per tutto il romanzo con il rum ed il formaggio salvati al rogo dell'osteria. Uomo che non ha perso il rapporto con l'Infinito, che è perciò al centro del cosmo, universo ordinato e sensato, e che per questa centralità possiede la storia e perciò anche la fa: il capitano Dalroy ha continuato da solo la guerra contro i Turchi proclamandosi re di Itaca, e costretto ad interrompere le ostilità partecipa ai negoziati di pace insieme ai rappresentanti delle massime potenze. Uomo che è in definitiva semplicemente il cristiano. Solo il Cristianesimo può tenere i costumi, la filosofia, la morale nel solco della sanità, può custodirne la ragionevolezza. Solo la religione cristiana può affidare ad ogni cosa il suo giusto posto e il suo giusto valore, mentre fuori di esso anche le virtù impazziscono. La dottrina della Creazione che implica un Dio personale e la libertà umana, e la dottrina della Caduta sono gli unici argini in cui l'uomo può lasciarsi vivere, fidando di conservare ciò che di buono c'è nel mondo, e può lottare e combattere il male. Il popolo nella sua maggioranza, se la modernità non lo distrugge, vive di questa tradizione: per questo Pump e Dalroy possono dire a Lord Ivywood: "I destini dell'osteria devono essere decisi in quella piccola stanza qua sopra. Ma state attento che il vostro destino non venga deciso in un’osteria. State attento che gli Inglesi non si riuniscano a giudizio contro di voi! ". (Ibidem, pag. 271).