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I personaggi di G. K. Chesterton: l’uomo comune 1 – Un uomo è un uomo

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
L'uomo comune è antichissimo, poiché è l'umanità: è l'uomo di ogni tempo, di usi, paesi, mentalità e mezzi sempre diversi, ma afflitto sempre dagli stessi interrogativi e problemi; è l'uomo che si innamora, che ama i suoi figli, che lotta contro le circostanze avverse, che deve pensare al cibo, al riparo, che parte in guerra cantando i propri canti, che ama la propria terra, che racconta le proprie favole e leggende; che si interroga sul perché delle stelle e sul senso della vita.

L'uomo comune è un tipo difficile da identificare. E' una creatura sfuggente, eppure importantissima. Ne “La sfera e la Croce” Evan McJan lo invoca come arbitro della contesa filosofica che lo contrappone a Turnbull, dopo la discussione all'osteria: "Guardo colui che ci giudicherà tutt'e due". [...]. E mostrava col dito il tanghero semi-ubriaco che ondeggiava sulla strada. [...] "Tutte le vostre filosofie e i vostri sistemi politici sono giovani di fronte a lui, le vostre cattedrali decrepite e la stessa Chiesa eterna sulla terra sono nuove rispetto a lui. Davanti a lui gli dei più secolari del British Museum sono dei fatti recenti. E' lui che finalmente ci giudicherà tutti quanti". (GKC, La sfera e la Croce, pag. 118).
Davanti alla risata incredula di Turnbull, sbigottito che quel "mangiatore di rape" sia l'arbitro di ogni questione filosofica, egli riprende: "Io dico che ogni uomo è l'immagine di Dio, e voi affermate che ogni uomo è abbastanza illuminato per esercitare il potere. Ma se ogni uomo è immagine di Dio, quello è Dio; e se ogni uomo è un cittadino illuminato, ecco il vostro cittadino illuminato. Il primo uomo in cui ci si imbatte è pur sempre un uomo: afferriamo costui!". (Ibidem, pag. 118).
Ma l'uomo comune, il primo tipo che si incontra per la via non vuole dare la risposta definitiva: Turnbull gli propone il libero voto e l'ateismo, McJan i preti e l'anima immortale; l'ubriaco farfuglia contro l'uno e contro l'altro, e solo ripete che "un uomo è un uomo" e infine li pianta in asso e si allontana riprendendo la sua incerta canzone da ubriaco.
L'uomo comune è dunque antichissimo, poiché è l'umanità: è l'uomo di ogni tempo, di usi, paesi, mentalità e mezzi sempre diversi, ma afflitto sempre dagli stessi interrogativi e problemi; è l'uomo che si innamora, che ama i suoi figli, che lotta contro le circostanze avverse, che deve pensare al cibo, al riparo, che parte in guerra cantando i propri canti, che ama la propria terra, che racconta le proprie favole e leggende; che si interroga sul perché delle stelle e sul senso della vita.
Ogni uomo è l'uomo comune, da un certo punto di vista, in quanto è semplicemente un uomo: anche un re, o un poeta, o un anarchico. Ha ragione l'ubriaco: un uomo è un uomo.
Tuttavia non è così semplice: poiché l'uomo comune ci giudicherà tutti, egli è evidentemente un criterio di sanità. Non è ciò che si ottiene facendo una statistica, una media degli uomini realmente esistenti: è ciò che ogni uomo dovrebbe essere per essere umano. Il politico emergerà forse per la sua intelligenza, il poeta per la sua forza di intuizione: l'uomo comune non emerge, ma li giudica entrambi perchè rappresenta la sanità, la completezza, l'equilibrio. Non conta che l'uomo comune sia diventato raro: gli "ismi" di fine secolo, propagandati dalla stampa (e Chesterton, giornalista, sa bene quale impatto devastante possa avere questo mezzo), dalla scuola pubblica, dalla divulgazione scientifica, ma più spesso semi-scientifica (quando non decisamente fanta-scientifica), si sono impadroniti del popolo, disgregandolo. Afferrato dalle mode intellettuali, egli è perduto fra i seguaci di Tolstoj o di Ibsen, i vegetariani, i circoli teosofici, quelli femministi, gli spiritisti, i darwinisti d'assalto, i pacifisti, gli adoratori della Natura, gli entusiasti dei Grandi Magazzini: ognuno si afferra ad un’ idea, e la tira di qua e di là tentando di farne l'alfa e l'omega di tutto il reale, ognuno erige un particolare a spiegazione del tutto: e il cardine di tutto, ciò a cui tutto rimanda, Dio, il Cielo, il fondamento del cosmo è scomparso dall'orizzonte dell'uomo. Quando Dalroy, il protagonista de “L'osteria volante”, incontra, nelle sue avventure, il capitalista, un uomo divenuto ricchissimo vendendo il Latte Di Montagna la cui pubblicità promette che porterà la durata della vita fino ai cento anni (ed è invece solo latte annacquato), lo affronta nel paese che questi ha fatto costruire, abitato da gente che si veste di pelli di capra e vive nutrendosi solo di questo latte, a scopo pubblicitario, dicendogli: “Voi dite di aver costruito questa città e di alzarvi all'alba per sorvegliarla. Ma voi l'avete costruita per denaro e la sorvegliate per denaro. Perché dovrei rispettarvi? "Bisogna che Dio costruisca la città perchè il loro lavoro non vada perduto, bisogna che Dio custodisca la città perchè la loro vigilanza non sia vana". E' inutile che voi vi alziate all'alba e mangiate il pane della diligenza, perché egli dà il sonno ai suoi fedeli. Cercate di capire che cosa significhi”. (GKC, L’osteria volante, pag. 299).
E' solo Dio, l'orizzonte ultimo, che può dare senso all'azione dell'uomo: ciò che è fatto fuori da questo nesso con Lui, è nullo, destinato ultimamente al fallimento, e intrinsecamente immorale e ingiusto.