I personaggi di G. K. Chesterton: assassini & co 2 – La malvagità è mancanza di intelligenza
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Quando non sono l'esito di una debolezza improvvisa, che dura appena il tempo del delitto e lascia subito il posto al rimorso, il furto o l'omicidio sono sempre il segno di una ristrettezza mentale. Essi si giustificano agli occhi di chi li compie in vista di un sentimento o di un oggetto che prende in essi un ruolo totalizzante, sproporzionato alla sua reale importanza: è l'idolo che conduce al delitto. Quasi ogni cosa può divenire idolo, persino un’idea puramente negativa: così Valentin, il geniale capo della polizia francese che cattura con l'aiuto di Padre Brown il leggendario ladro internazionale Flambeau nella prima avventura del piccolo prete dell'Essex, nella seconda diviene l'insospettabile omicida di un ricco americano. Il movente è una passione puramente negativa, il suo odio per quella che egli chiama la superstizione della croce; egli uccide per evitare che il ricco uomo americano, che si diceva fosse vicino alla conversione, possa devolvere il suo denaro alla sua grande nemica, la Chiesa. Il suo ateismo non è solo una convinzione, è una causa che richiede ogni sacrificio, anche quello della onestà e della carriera.
Non solo l'ateismo, però, può condurre al delitto; ugualmente lo può la devozione. Ne “Il martello di Dio” l'assassino è un pastore protestante, la cui passione per la giustizia e il cui odio per il peccato lo spingono a sostituirsi, complice l'altezza della cattedrale, alla punizione divina, lasciando cadere un martello sul capo del fratello dissoluto. Ne “Lo strano delitto di Giovanni Boulnois” un uomo per vanità di essere invidiato e per la disperazione di non riuscirvi giunge ad uccidersi in modo tale da far ricadere la colpa sull'uomo la cui invidia bramava più della vita stessa. Ne “La freccia del cielo” un uomo ricchissimo organizza tutta la sua vita in modo da difendere il possesso di una preziosa Coppa Coptica. Rimane solo con sé stesso, privo di guardie del corpo, solo quindici minuti al giorno, religiosamente dedicati alla adorazione della preziosa coppa ingioiellata. Per entrare in suo possesso ha ucciso due uomini e per vendicare quei due uomini viene a sua volta ucciso. Ne “L'oracolo del cane” l'omicida è mosso in parte dal bisogno di denaro ma più ancora dal demone del gioco che davanti ad una occasione propizia e alla possibilità per quanto vaga di un cambio di testamento a suo favore lo spinge ad uccidere lo zio.
“In breve, è la vanità della divinazione. E' la megalomania del giocatore. Più illogica è la combinazione, più la decisione è istantanea e più è probabile che egli afferri l'occasione. Il caso, la stessa banalità della chiazza bianca e del buco nella siepe, lo inebriarono come la visione del possesso del mondo”. (GKC, I racconti di Padre Brown, pag. 475)
Il fatto è che non si tratta del possesso del mondo, ma solo dell'omicidio del vecchio zio: ecco l'origine del male. L'origine del male è sempre una censura che permette ad un elemento del reale di usurpare un ruolo che non gli spetta. Per questo la malvagità è anche sempre una mancanza di intelligenza:
"Io direi invece che, in un certo senso, era abbastanza intelligente", osservò Rock, pensoso."Sì, in un certo senso", disse Padre Brown, "ma in un senso soltanto". (Ibidem, pag. 773)
Una intelligenza limitata è quella che guida il delitto, che lo causa.
”Questi criminali di mente ristretta sono sempre molto banali e diventano criminali a causa della loro banalità”. (Ibidem, pag. 753)