Quello che non... - Francesco Guccini - 1
"Non siamo più nulla..."- Autore:
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Con questa canzone Francesco Guccini approda al nichilismo quasi totale: "non siamo, non siamo, non siamo". E' la conclusione disperata di uno che "prova e riprova ma il senso del vero non trova". E' l'epilogo di un percorso iniziato e proseguito a partire da una opzione negativa, come abbiamo visto, circa l'esistenza di un significato ultimo della realtà.
Eppure è evidente in Guccini il dolore causato da questa negatività che egli stesso si impone, da questo "urlo" che spinge al nulla.
È lo stesso dolore che troviamo in questa poesia di Leopardi:
...Per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per gli sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core (La sera del dì di festa).
Questo dolore è tuttavia indice di un fatto innegabile, è indice di una verità incancellabile: noi siamo pur qualcosa, non siamo "nulla"; e siamo qualcosa che non è fatto per il nulla, ma per l'essere. A prescindere da qualsiasi ulteriore considerazione, questo è un dato innegabile della realtà.
Negare questo è irragionevole, è una violenza senza ragioni alla realtà. Lo si capisce bene in questo brano di un romanzo di Kerouac.
"...Guarda la mia mano rovesciata, apprendi il segreto del mio cuore; dammi ciò che cerco, dammi la tua mano, portami al sicuro, sii gentile, sii buono; sorridi; son troppo stanco ora di tutto, non ne posso più, non resisto, mi arrendo, voglio andare a casa, portami a casa, chiudimi al sicuro, portami dove non ci sia casa, dove tutto sia pace e amicizia, nel luogo che mai avrebbe dovuto esistere, di cui nulla si dovrebbe sapere, nella famiglia della vita.
Mia madre, mio padre, mia sorella, mia moglie e tu mio fratello, e tu amico mio, portami nella famiglia che non esiste, ma non ci spero, non ci spero, non ci spero; mi sveglio e darei un milione di dollari per essere nel mio letto".
Commentiamo: "Questo non ci spero è evidentemente una opzione, una scelta, suggerita certamente dall'esperienza dolorosa: ma la negazione non copre, non dà ragione di tutti i fattori in gioco... è spesso come l'arrestarsi smarrito sulla soglia della conclusione vera - come l'essere prigioniero di un interrogativo che rinnova continuamente l'originale ferita" (Il senso religioso, p. 101).
Voglio prendere spunto da un brano dei Minima moralia di Adorno, grande pensatore della scuola di Francoforte. Come al mattino ti devi alzare, è suonata la sveglia, e una voce ti dice: "sta qui", sarebbe un difetto di umanità, sarebbe un venir meno a se stessi il non alzarsi, lo stare lì. Così, osserva Adorno, "quando speriamo nella salvezza, una voce ci dice che la speranza è vana". Ma sarebbe venir meno a se stessi assecondare quella voce, perché non dà ragione della speranza che pur sussiste. Infatti, continua Adorno, "è essa, essa soltanto, la speranza impotente" che ci permette di respirare, cioè di vivere... è la struttura dell'uomo, è quello che chiamavamo cuore, o esperienza elementare: negarla è rinnegare qualcosa, è irragionevole, è disumano (Il senso religioso, p. 100).
Testo della canzone
La vedi nel cielo quell'alta pressione?
La senti una strana stagione?
Ma a notte la nebbia ti dice d'un fiato
che il dio dell'inverno è arrivato.
Lo senti un aereo che porta lontano?
lo senti quel suono di un piano
di un Mozart stonato che prova e riprova
ma il senso del vero non trova?
Lo senti il perché di cortili bagnati,
di auto a morire nei prati,
la pallida linea di vecchie ferite,
di lettere ormai non spedite?
Lo sai che non siamo più niente?
Non siamo un aereo né un piano stonato,
stagione, cortile od un prato.
Conosci l'odore di strade deserte
che portano a vecchie scoperte,
a nafta, telai, ciminiere corrose,
a periferie misteriose,
a rotaie implacabili per un nessun dove,
a letti, a brandine, ad alcove?
Lo sai che colore han le nuvole basse,
e i sedili di un' ex terza classe,
l'angoscia che dà una pianura infinita?
Hai voglia di me e della vita,
di un giorno qualunque, di una sponda brulla?
Lo sai che non siamo più nulla?
Non siamo una strada né malinconia
un treno o una periferia,
non siamo scoperta né sponda sfiorita,
non siamo né un giorno né vita.
Non siamo la polvere di un angolo tetro
né un sasso tirato in un vetro,
lo schiocco del sole in un campo di grano,
non siamo, non siamo, non siamo.
Si fa a strisce il cielo e quell'alta pressione
è un film di seconda visione,
è l'urlo di sempre che dice pian piano:
non siamo, non siamo, non siamo.