Konstantin Romuald Juljanovic Budkevic, sacerdote cattolico
1867-1923- Curatore:
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Padre Konstantin nasce a Zubry (Lettonia) il 19 giugno 1867 da una numerosa famiglia nobile polacca. Studia in forma privata a Kraslav e poi in un ginnasio polacco. Terminate le cinque classi del ginnasio, entra nel seminario cattolico di Pietroburgo e nel 1890 nella Accademia teologica. E’ ordinato sacerdote il 26 settembre 1893. Il primo compito che gli viene affidato è l’insegnamento della religione
Il 5 febbraio 1894 è nominato vicario nella parrocchia della SS. Trinità a Pskov, nel 1896 a Vitebsk dove rimane per 7 anni durante i quali deve a lungo soffrire per una malattia ai reni che lo renderà cagionevole di salute per tutta la vita. Dal 1904 al 1923 padre Konstantin è vicario e poi parroco della chiesa più importante di Pietroburgo, S. Caterina d’Alessandria che contava circa 30.000 fedeli cattolici. In seguito sarà nominato anche decano di tutto il vicariato di Pietroburgo. Oltre alla normale cura pastorale egli si preoccupa della formazione spirituale della nuova generazione. Durante la sua permanenza a Santa Caterina, fonda tre scuole elementari, una scuola professionale per la formazione di insegnanti nei villaggi agricoli. Nel marzo 1906 nelle scuole dipendenti dalla parrocchia si potevano contare circa 2.00 alunni di varie nazionalità.
Il decanato di Pietroburgo nel 1914 contava 18 parrocchie, 14 chiese filiali, 10 cappelle per un complesso di 101.330 fedeli cattolici. Il numero dei fedeli era in espansione e padre Konstantin crea un comitato per la costruzione di altre chiese e si preoccupa di organizzare monasteri clandestini (onde ovviare ai dinieghi dell’amministrazione zarista) per ‘Le figlie del cuore di Maria’, ‘La comunità missionaria della santa Famiglia’ e ‘la comunità delle orsoline’.
Patriota polacco, padre Budkevic non vedeva di buon occhio i cattolici di rito bizantino. I tempi non erano ancora maturi per un ecumenismo impegnato nella missione. Allo scoppio della prima guerra mondiale p. Budkevic è presidente della Associazione per l’aiuto ai profughi e ai prigionieri di guerra.
Nel 1917, con la rivoluzione di febbraio che sostituisce allo zarismo un ordinamento statale democratico, i docenti dell’Accademia teologica e i parroci della città di Pietroburgo si riuniscono regolarmente per discutere insieme sulla situazione nuova e sulle nuove decisioni da prendere. Promotore di queste assemblee ecclesiastiche è padre Budkevic. Fra le altre iniziative si stabilisce di fondare “L’unione cattolica” che ha lo scopo di elevare il livello formativo del popolo in campo politico e sociale e di organizzare una vasta attività sociale in tutta la Russia. L’arrivo dei bolscevichi al potere non interrompe immediatamente l’opera di questo comitato, ma la rende sempre più controllata fino a farla scomparire con il decreto del 23 gennaio 1918 sulla separazione della chiesa dallo stato.
Il decreto 11 dicembre 1917 disponeva che tutte le scuole passassero sotto la direzione del Commissariato comunista per l’educazione. Padre Budkevic organizza corsi clandestini in appartamenti privati, ma grazie al controllo severo del potere comunista su tutto e su tutti, non possono avere una lunga vita. Padre Budkevic chiede al partito comunista di poter formare un’associazione di maestri e genitori per coordinare l’educazione, ma la proposta viene gentilmente respinta. Padre Budkevic resterà sempre fra i pochi ingenui che credono in una possibile libera collaborazione con i comunisti, ma resterà sempre deluso.
Il 2 giugno 1918 Budkevic ottiene dal partito il permesso per la processione del Corpus Domini. Vi partecipano migliaia di fedeli sia latini che bizantini. Fu l’ultima delle manifestazioni pubbliche permesse dal comunismo. Ma il comunismo non si limita ad impedire le processioni; il suo scopo è eliminare la Chiesa e la fede: più il tempo passa e più l’intento del comunismo si rende evidente al punto che il vescovo cattolico Ropp il 9 gennaio 1919, nella previsione di essere arrestato, firma il decreto ove nomina le persone che l’avrebbero dovuto sostituire. In questo elenco c‘è anche Budkevic.
Il 22 gennaio 1919, su iniziativa del potere comunista, viene formato il ‘Comitato centrale delle comunità cattoliche dell’arcidiocesi di Mogila’ (cui apparteneva anche Pietroburgo). L’intento del partito era di poter dirigere ‘democraticamente’ le comunità cattoliche, sottraendole all’autorità legittima (la stessa tattica sarà usata con la chiesa ortodossa russa istituendo e sostenendo ‘La chiesa viva’ detta anche ‘Chiesa degli innovatori’ in opposizione alla Chiesa ufficiale). Budkevic interviene con una lettera al clero per confermare che il Comitato fondato dal partito non era canonicamente legittimo.
L’11 aprile 1920 l’arcivescovo cattolico Cepljak, succeduto a Ropp, viene arrestato. Mons. Budkevic invita i cattolici nella chiesa di S. Caterina per informarli dell’accaduto e invitarli alla preghiera. Da qui alcune migliaia di cattolici si dirigono verso la sede della CK per chiedere la liberazione dell’arcivescovo. I comunisti approfittano di questa pacifica protesta per arrestare gli organizzatori ed aprire ‘la causa giudiziaria polacca’ che, oltre all’arcivescovo Cepljak, comprometteva altri 189 cattolici laici. Mons. Budkevic interviene presso la ‘Commissione Straordinaria’ che fa liberare Cepljak.
Nel 1922 il Comitato esecutivo comunista emana una disposizione secondo la quale nessun sacerdote straniero può esercitare in Russia. Mons. Budkevic, cittadino polacco, rinuncia alla propria cittadinanza e chiede quella sovietica per poter rimanere con i suoi parrocchiani.
Sempre nel 1922 l’arcivescovo Cepljak, dopo la chiusura del seminario e dell’Accademia teologica, organizza un seminario clandestino e nomina rettore padre Antonij Maleckij. Nel seminario clandestini insegna anche mons. Budkevic.
Il 23 febbraio 1922, su iniziativa personale di Lenin, viene emanata ‘la legge sull’esproprio dei preziosi in possesso delle comunità credenti’. L’intento dichiarato dai comunisti era di venir incontro alla fame che regnava in Russia. In realtà nessun ricavato dai preziosi sequestrati fu devoluto agli affamati. La legge servì per eliminare in un anno più di ottomila persone del clero e del monachesimo.
Il 25 novembre 1922 il Comitato esecutivo comunista decide di far chiudere tutte le chiese finché le comunità cattoliche non avessero firmato l’accordo di passare allo stato la proprietà di tutti gli edifici ecclesiastici. Il 5 dicembre 1922 quasi tutte le chiese cattoliche vennero sigillate. In questo affare mons. Budkevic si sentiva in causa perché proprio lui aveva pubblicamente affermato che i comitati cattolici non avevano il diritto di legiferare indipendentemente dall’autorità ecclesiastica. Egli confida agli amici il timore di essere presto arrestato. Gli amici lo consigliano di riparare in Polonia, ma lui si rifiuta, vuol restare sul campo.
Nel dicembre 1922 mons. Budkevic viene ufficialmente convocato a dar spiegazione del suo comportamento antisovietico. Egli risponde richiamandosi alla legislazione sovietica e invita i comunisti ad osservare almeno le leggi da loro stessi emanate. Evidentemente la sua franchezza irrita ulteriormente i comunisti. Lui comprende di aver le ore contate: è sorvegliato a vista e gli è proibito di allontanarsi dalla città. Alcuni amici gli assicurano che è ancora possibile un espatrio clandestino; si assumano loro ogni responsabilità, ma egli di nuovo rifiuta: non vuole abbandonare la sua gente.
Il processo contro mons. Budkevic inizia il 21 marzo 1923. Presidente è Gadkin, un sacerdote ortodosso spretato. L’accesso alla sala praticamente è riservato ai comunisti. Gli avvocati difensori non hanno di diritto di presentare testimoni, diritto riservato all’accusa. Il comportamento del giudice è, a dir poco volgare. Egli si permette di dar del tu sia all’arcivescovo Cepljan che a mons. Budkevic. Alle solite accuse di attività controrivoluzionaria Budkevic risponde con calma e serenità, ma anche con chiarezza. “Lei parla con noi come fossimo dei ciarlatani e degli indovini” così egli ammonisce il giudice.
La difesa è affidata a Ekaterina Peskova ex moglie di Maxim Gor’kij la quale al processo non ha molte possibilità di essere ascoltata, ma fa di tutto perché gli accusati vengano trattati con dignità.
Alla fine del processo il procuratore Krylenko chiede la pena di morte sia per Cepljak che per Budkevic. Il tribunale rivoluzionario riconosce Budkevic colpevole di aver fondato un’organizzazione di sacerdoti cattolici che aveva lo scopo di “opporsi al potere sovietico, indebolire la dittatura del proletariato, far valere i vecchi privilegi della chiesa, animare le masse dei credenti contro il potere sovietico, sfruttando i pregiudizi religiosi di queste masse, inducendole ad avversare e non rispettare le leggi sovietiche …”
Nel suo ultimo intervento mons. Budkevic contesta le vaghe incriminazioni sovietiche e ricorda ai comunisti di aver sempre tentato invano di convincere il governo sovietico a rispettare le leggi da esso emanate. Su insistenza dell’avvocato difensore sia il vescovo Cepljak come mons. Budkevic inoltrano alle istanze superiori la domanda di essere graziati. Per l’arcivescovo Cepljak, tenendo conto della sua origine contadina, la sua condanna a morte viene commutata con 10 anni di prigione. La domanda di mons. Budkevic viene respinta perché considerato traditore dello Stato sovietico, avendo collaborato con uno stato capitalista.
Il venerdì santo (30 marzo) del 1923 mons. Budkevic viene separato dagli altri detenuti e il 31 marzo 1923 viene è fucilato in prigione con un colpo di pistola alla nuca.
Altri sacerdoti cattolici
- Butynec Kalist, n. 1889, fucilato in prigione nel 1921
- Bujal’skij Kirill, n.1887, ucciso in prigione 14 marzo 1919.