La Brianza di E. Corti 2 – Gli anni Quaranta: contadini e “paolotti” (cattolici praticanti)

Qui è possibile cogliere i “tratti essenziali di una diffusa e radicata religiosità, che traspare dai segni caratteristici della devozione popolare, abituata a esprimere il sacro attraverso le immagini e i riti tradizionali”.
Autore:
Giacomino, Giovanna
Fonte:
CulturaCattolica.it

Si cominciano così a conoscere i primi tratti del carattere di Stefano, uno dei giovani protagonisti: il rispetto per il padre e la dedizione al lavoro. (1) In seguito, attraverso le prime battute del dialogo tra Ferrante e Stefano, si scopre che quest’ultimo sta aspettando il ritorno dal collegio del suo amico Ambrogio, figlio di un industriale tessile: “uno che, prima di diventare industriale, era stato operaio”. (2)
La Brianza degli anni Quaranta, epoca in cui si apre la narrazione di Corti, era infatti già industrializzata, ma il suo punto di partenza era stato quello contadino, ed era ancora questo il tipo di realtà che prevaleva nella mentalità della gente. (3) Viene così rilevato diverse volte che ci si trova in un periodo di transizione economica (4), ma che esso non è caratterizzato da uno scontro tra le diverse classi sociali. Al contrario, l’autore tiene a sottolineare che “si era in Brianza, dove a quel tempo non c’era nel popolo avversione per gli industriali”. (5)
Le scene seguenti consentono al lettore, già partecipe della storia dei personaggi presentati, di cominciare a percepire con chiarezza quale sia l’origine dell’armonia presentata dall’autore in queste prime pagine. La narrazione si sposta infatti nella stalla della cascina in cui vive Stefano, la Nomanella, e successivamente nei pressi di casa Riva e nella piazza di Nomana. (6) Qui è possibile cogliere i “tratti essenziali di una diffusa e radicata religiosità, che traspare dai segni caratteristici della devozione popolare, abituata a esprimere il sacro attraverso le immagini e i riti tradizionali”. (7) Si individuano così, primi fra i tanti simboli religiosi che ricorrono nel romanzo, “sant’Antonio abate, in una vecchia oleografia che lo raffigurava seguito da un suino”(8) e un “affresco della Madonna del rosario seduta col Bambino in braccio su uno sfondo di montagne”. (9) Come sottolinea Paola Scaglione, queste immagini si inseriscono perfettamente nel contesto presentato da Corti, grazie anche ad alcuni particolari che lo scrittore inserisce e che danno a questi simboli del sacro una dimensione quotidiana. Così, l’oleografia di sant’Antonio presente sulla parete in fondo alla stalla della Nomanella è, come lo chiamava la gente, quella di “sant’Antonio del porcello”, l’affresco della Vergine si trova in una nicchia ricavata su un angolo smussato del muro che circonda casa Riva e tra le montagne dello sfondo “vi si riconoscevano bene le due Grigne e il Resegone”.
Lo stesso avviene per la descrizione della piazza di Nomana e della piccola folla paesana che, richiamata dal vigoroso scampanio, si affretta verso la chiesa per la benedizione di maggio. La Brianza descritta da Corti è un “paese tutto di paolotti, ossia di cattolici praticanti” (10): Stefano e Ambrogio osservano, come ad una scena quotidiana, il popolo che si dirige unanime alla funzione religiosa. (11) Vengono presentati in questo modo i diversi abitanti del paese, ciascuno con le proprie peculiarità; l’atmosfera che si respira è vivace e familiare. (12)

NOTE
1. “[…] Allora per rispetto anche il figlio cessava di falciare, e girata la propria falce si metteva ad affilarla allo stesso modo. ‘E' un buon lavoratore’ pensò, osservandolo mentre eseguiva questa operazione, Ferrante: ‘Non stacca se non ne ha motivo, e mai per primo’.” E. Corti, Il cavallo rosso, op. cit., p. 7
2. E. Corti, Il cavallo rosso, op. cit., p. 10
3. Cfr. P. Scaglione, Parole scolpite…, op. cit., p. 168
4. Emblematico, a tal proposito, il discorso che la nonna di Stefano fa al giovane nipote per convincerlo ad imparare il mestiere del meccanico: “«Stefano, i tempi stanno cambiando; tu lo sai che i giovani di qui, anche i figli dei contadini, non fanno più il contadino: troppo lavoro e troppo poco frutto. Soltanto la sera, se mai, una volta tornati dallo stabilimento, aiutano i vecchi a mandare avanti quel po’ di terra […]»”. E. Corti, Il cavallo rosso, op. cit., p. 16
5. Ibi, p. 13
6. Nomana corrisponde, per molti aspetti, a Besana, paese natale di Corti. La grande piazza luminosa descritta dall’autore esiste ancora, ma mentre un tempo essa veniva attraversata ogni sera dalle rondini, che volavano basse sull’acciottolato, oggi è asfaltata ed è un parcheggio per automobili. Il nome di fantasia deriva dalla fusione di nome ed –ana, parte finale del paese Besana che ne indica l’origine romana. Nasce così Nomana, “un appellativo abbastanza armonioso e, insieme, abbastanza modesto, dunque adatto”. Cfr. P. Scaglione, Parole scolpite…, op. cit., p. 165
7. P. Scaglione, L’opera di Eugenio Corti…, op. cit., p. 46
8. E. Corti, Il cavallo rosso, op. cit., p. 14
9. Ibi, p. 19
10. Ibi, p. 26
11. “«Come mai tutta ‘sta gente in giro?» chiese Ambrogio a Stefano. «Perché è l’ora di benedizione» gli rispose costui. «Non hai sentito le campane?» «Ah già, le campane» disse Ambrogio. «Siamo nel mese di maggio infatti.» Stefano annuì: «Oggi è l’ultimo del mese.»” Ibi, pp. 20-21
12. La gente, al suono delle campane, affretta il passo per raggiungere la chiesa; le rondini, che come ogni sera volano basse sopra l’acciottolato della piazza, traggono il pretesto dello scampanio “per mettersi a sfrecciare e a fare ogni sorta di virtuosismi”. Infine, “quasi tutti quelli che passavano […] scambiavano un saluto, in genere un cenno del capo, coi due giovani.” Ibi, p. 21