“Il Cavallo Rosso” di E. Corti - Michele Tintori 1

Michele è un compagno di collegio di Ambrogio Riva, figlio unico d’un grande invalido della prima guerra mondiale, intenzionato a diventare scrittore.
Autore:
Tressoldi, Alessia
Fonte:
CulturaCattolica.it

Michele è un compagno di collegio di Ambrogio Riva, figlio unico d’un grande invalido della prima guerra mondiale, intenzionato a diventare scrittore. Egli aveva maturato questa decisione al principio del ginnasio, quando un giorno si ritrovò tra le mani il testo di Omero. Michele è tuttavia conscio del fatto che non si possa scrivere, se prima non si è sperimentata la realtà, la vita.
Allo scoppio della guerra chiede espressamente di essere mandato in Russia, dove spera di vedere con i suoi occhi cos’è il comunismo e la situazione che l’ideologia comunista ha creato in quel paese. In un dialogo con Ambrogio afferma:
“I comunisti hanno tentato un esperimento unico, non te ne rendi conto? Hanno tentato – o se vuoi stanno tentando – una redenzione dell’uomo e della società al di fuori di Cristo, e del cristianesimo, anzi contro Cristo. E per fare questo – questo terribile tentativo – si sono isolati dal resto del mondo. Per noi cristiani è importantissimo renderci conto di cosa hanno realmente combinato. Sembra che ci siano stati milioni di vittime, lo sai, però molti dicono che non è vero, che quella è soltanto propaganda fascista e capitalista. Mounier per esempio, quell’autore cattolico francese, sostiene con tutte le sue forze i comunisti russi. Voglio parlare con la gente comune russa, con gli operai, i contadini, con tutti. Questa è un’occasione straordinaria, unica. Voglio vedere ogni cosa con questi occhi, non voglio limitarmi al sentito dire”. (E. Corti, Il cavallo rosso, pag. 130).
E’ assegnato all’Ottantunesimo della Divisione Torino, a Parma. Nel giugno 1942 viene spedito in Russia. Durante l’avanzata verso il fiume Don, Michele ha l’occasione, grazie alla presenza di un interprete, di parlare con i contadini russi. Si rende immediatamente conto del terrore in cui vivono, tanto che il dialogo è difficoltoso, proprio per la paura che egli possa essere una spia inviata dal regime. Tocca con mano le conseguenze della carestia causata dalla collettivizzazione forzata della terra del 1933 e sente per la prima volta parlare di casi di cannibalismo nella popolazione russa.
Durante la battaglia di Arbusov, mentre Michele vaga ormai incosciente per il freddo, viene catturato dai Russi. Decidono di non ammazzarlo, solo perché il capitano russo scopre che Michele è un artista (vuole fare lo scrittore) ed essendolo anch’egli, vuole risparmiarlo. Occorre però una scusa, perché il regime perseguita gli artisti. Il comandante russo decide così che il prigioniero detiene importanti informazioni sull’affluenza delle truppe nemiche a Millerovo. Michele rimane per due mesi con le truppe russe e poi è internato nel lager di smistamento a Crinovaia, in seguito alla morte del capitano russo che lo aveva salvato con l’imbroglio. Nelle scuderie dei cavalli, vengono ammassati gli uomini, divisi tra ufficiali e semplici soldati. Nella “cella” degli ufficiali, incontra don Turla e alcuni alpini della Cuneense. Dei tremila che erano in colonna con loro ne sono arrivati cinquecento. Gli altri erano morti nella marcia di diciassette giorni, con cui senza mangiare, erano arrivati al lager.
Nel lager Michele vede la situazione disumana a cui l’uomo può arrivare quando ha fame: soldati che vengono calpestati e uccisi durante la distribuzione della razione; episodi di cannibalismo che si susseguono; morti abbandonati nei corridoi e ammassati a casaccio al di fuori delle baracche.
Il 4 marzo 1943 gli Italiani sopravissuti vengono avviati in treno da Crinovaia verso i lager dell’interno: i soldati con destinazione Siberia, gli ufficiali in direzione della zona del Volga. Il 12 marzo alla stazione d’arrivo i carcerieri li contano: di quattrocentoventotto sono rimasti in centoventicinque. Vengono condotti al lager, un ex convento di monaci. Ad Aprile arriva un’ordinanza del N.K.V.D. che prescrive che i prigionieri di guerra vengano alimentati a sufficienza, a favore della propaganda comunista. Ma dopo essere stati a Crinovaia, nessuno avrebbe mai potuto pensare di credere nell’ideologia comunista. In questo lager i prigionieri sono obbligati ai lavori forzati, e questo rappresenta per Michele l’occasione per parlare con gli altri prigionieri, non solo con gli italiani, ma anche con i russi e con le donne deportate. Un professore russo si apre totalmente con Michele e lo supplica di far conoscere la verità una volta ritornato in Italia. Egli spiega come Stalin all’inizio della guerra non era sostenuto dal popolo russo, anche per la cattiva luce in cui si era messo con le deportazioni, ma di fronte alle brutalità compiute dai nazisti contro i Russi, che li avevano inizialmente accolti come i liberatori, l’opinione pubblica si era ribaltata e il popolo russo aveva iniziato a combattere per il comunismo.
Da Orachi Michele viene trasferito a Susdal, dove può studiare il Marxismo, grazie ai libri che gli vengono concessi. Infatti i comunisti credono in una sua conversione, invece Michele ha bisogno di studiare le basi. Nei lager vengono organizzati anche convegni per la propaganda, i cui relatori sono importanti personaggi della sfera comunista, quali Togliatti e il suo cognato Robotti. In questi incontri-scontri con i prigionieri, che si permettono (alcuni) di ribattere, Robotti arriva persino a negare l’esistenza del lager di Crinovaia. Nella convinzione comunista infatti se la storia non seguiva i comunisti, al limite essi potevano anche cambiare la storia. Nell’estate del 1945 arrivano al lager i convogli dei prigionieri giapponesi, che portano la notizia delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki.