“Il Cavallo Rosso” di E. Corti – Pierello Valli 1
Pierello Valli, un altro personaggio-chiave de "Il cavallo rosso", si trova catapultato in una delle zone di maggior tragedia, nel settore nord-orientale della Germania, vicino al vecchio confine con la Polonia.- Autore:
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Pierello, operaio in ferriera, abita nella frazione Lodosa. E’ un ragazzo d’aspetto solido e insieme mite, con la testa rotonda e i capelli e gli occhi color marrone chiaro. E’ amico di Ambrogio e di Stefano, ed è uno dei primi della classe del 1921 ad essere chiamato sotto la naia. Ambrogio lo accompagna alla stazione in auto il giorno della sua partenza. La sua peculiarità è che allarga le braccia e alza gli occhi al cielo per motivi minimi e talora anche senza motivo, nel gesto di chi si arrende al destino. Ed è così anche quel giorno alla stazione, ma da vero cattolico sa che il suo destino è buono.
Lo ritroviamo al suo ritorno in licenza nel maggio del 1943. Il suo treno mentre arriva in stazione incrocia quello di Manno, il cugino di Ambrogio che sta partendo per la Grecia. Pierello è arruolato nella fanteria in Croazia. Nei giorni di licenza va a trovare l’amico Ambrogio, in convalescenza dopo la ritirata in Russia e porta con sé una signora, madre di un soldato disperso in Russia, sperando che Ambrogio possa darle buone nuove.
Rientrato in Croazia, viene deportato dai Tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Si trova così in una delle zone di maggior tragedia, nel settore nord-orientale della Germania, vicino al vecchio confine con la Polonia. Qui, è coinvolto nei combattimenti terrificanti e senza luce con cui i resti di due armate della Wehrmacht, incaricate della difesa della Prussia Orientale, tentano invano di arginare l’avanzata sovietica. La lotta, iniziata lungo il confine prussiano il 12 gennaio 1944, è davvero impari: il rapporto delle forze è di uno a dieci in favore dei sovietici. All’esercito si aggiungono, drammaticamente fedeli alla consegna, i sessantenni dello Volkssturm e i ragazzini dai 13 ai 16 anni della Hitlerjugend, male armati e male equipaggiati, neppure tutti in divisa. Mentre Pierello si sta ritirando di propria volontà con una compagnia della Quarta armata, si trova davanti a un paesino di poche case non lontano da Bartenstein, con la funzione di aiuto mitragliere a uno spandau. Durante l’estate aveva trascorso cinque mesi nel podere Hufenbach, come lavorante agricolo. In questo podere lavorava anche un prigioniero polacco, Tadeusz Klocek, con il quale aveva fatto amicizia. La vedova Hufenbach era una padrona severa ma giusta: siccome la razione era scarsa, gli aveva fin da principio fatto capire che potevano mangiare a discrezione dei frutti più disponibili del podere, tanto che lui si era rifatto della fame sofferta nei lager. Inoltre la proprietaria aveva un figlio di dodici anni, Joachim, il quale si era molto affezionato a Pierello, da cui aveva imparato alcune parole in italiano e il dialetto di Nomana. Lo imitava anche nel suo gesto di allargare le braccia come arrendendosi al destino e per questo Pierello, vedendosi scimmiottato, aveva smesso di farlo. In settembre aveva dovuto abbandonarli, per andare a Goldap a scavare trincee. A quel tempo il fronte correva lungo il vecchio confine con la Polonia, e i civili tedeschi erano tutti senza eccezione convinti, per la forte propaganda nazista, che mai e poi mai i Russi sarebbero riusciti a venire avanti; glielo garantiva la loro propaganda, e loro ci credevano ciecamente, non solo le donne e i bambini, ma anche gli uomini. Alla fine di ottobre i Russi avevano improvvisamente attaccato ed erano venuti subito avanti, tanto che loro, prigionieri di guerra, erano stati sgombrati appena in tempo. I Russi avevano sommersa la zona dei lavori e occupata la cittadina di Goldap. Un paio di settimane di strenua lotta avevano riportato il fronte dov’era prima e riconquistato la città. Quando le squadre di prigionieri erano tornate sul posto per seppellire i morti e riparare le distruzioni, Pierello aveva visto cose che non si sarebbe più dimenticato per tutta la vita: dovunque civili assassinati, persone bruciate dentro le case, vecchi con evidenza torturati fino alla morte. Tutte le donne rimaste in città, dalle bambine alle vecchie, erano state violentate una infinità di volte. Nella località di Nemmerdorf parecchie donne erano state inchiodate vive alle porte dei cascinali.
Si crea così una lunga colonna di profughi prussiani, che camminando nel gelido inverno tedesco, cercano di raggiungere i ponti di ghiaccio sulla laguna di Koenigsberg, al di là dei quali saranno salvi. Pierello, osservando questa triste marcia, prega perché anche la vedova Hufenbach si sia salvata.