Eugenio Corti – L’opera 1 - La vocazione alla scrittura

Corti sente di essere stato chiamato dalla Provvidenza a scrivere. “Io non avrei dovuto sopravvivere alla ritirata in Russia”, spiega, “invece ne sono uscito. Allora mi sono chiesto il perché; perché io non sono stato preso, ma sono stato lasciato? A caso, forse? E sentivo che non era così, io ero stato lasciato per una qualche precisa ragione”.
Autore:
Giacomino, Giovanna
Fonte:
CulturaCattolica.it

Eugenio Corti capisce fin da ragazzo che il proprio compito è quello di scrivere. Nel tentativo di descrivere il proprio mestiere, egli stesso si definisce un “cantastorie”, spiegando che “ogni essere umano, anche il più umile, è chiamato dal Signore a svolgere un determinato compito: da sempre io mi sono sentito chiamato a raccontare”. (1) In particolare, sono due i momenti che determinano la sua vocazione di scrittore. Il primo risale ai tempi della scuola media, quando Corti per la prima volta scopre ed entra “in compagnia” di Omero:
Quello che ha influito maggiormente su di me ancora ragazzo, anzi quasi bambino, è stato Omero. Quando, in prima ginnasio, mi sono trovato tra le mani le sue due opere e ho incominciato a leggerle, ne sono rimasto totalmente conquistato. Percorrevo quel nuovo dominio con tale entusiasmo che, quando suonava la campana di interruzione dello studio, provavo un gran fastidio. E’ stata un’esperienza fortissima, che ha influito per sempre sul mio modo di scrivere. Di Omero mi ha appassionato la capacità di rendere bello tutto ciò di cui parla, il fatto che abbia saputo introdurre nel mondo tanta bellezza”. (2)
Egli ne rimane talmente incantato da ripromettersi: “Farò come questo. Perché Omero trasforma in bellezza tutto ciò di cui parla” (3); e da allora non ha mai lasciato questa impostazione.
Il secondo momento è per l'autore molto più drammatico. Sottotenente di artiglieria, ventidue anni ancora da compiere, Corti si trova in Russia durante la ritirata dal Don, in condizioni terribili. Ѐ la notte di Natale del 1942: con pochissime speranze di uscire vivo da lì, lottando contro il gelo e la morte, egli consegna il proprio futuro nelle mani della Madonna attraverso una promessa:
Siccome non mi fidavo più della mia forza di volontà, non ho fatto un voto vero e proprio, ma mi sono impegnato con una promessa: se mi fossi salvato, avrei spesa tutta la mia vita in funzione di quel versetto del Padre Nostro che recita: “Venga il Tuo Regno”. (4)
Si tratta di una decisione che segnerà tutta la sua esistenza. Continua l’autore:
In seguito mi sono reso conto che […] non avrei saputo, per esempio, fare come i miei fratelli missionari in Africa; io mi sarei ridotto a operare solo con le buone intenzioni. Perciò del Regno di Dio (che è il Regno dell’Amore, ma anche della Verità) ho deciso di privilegiare la Verità, ed è in funzione di quella che ho impostato la mia vita. Questo è stato il mio impegno. E ho cercato di mantenerlo, magari in modo inadeguato (come accade a tutto quello che facciamo noi uomini), ma dandomi incessantemente da fare per la verità”. (5)
Corti sente di essere stato chiamato dalla Provvidenza a scrivere. “Io non avrei dovuto sopravvivere alla ritirata in Russia”, spiega, “invece ne sono uscito. Allora mi sono chiesto il perché; perché io non sono stato preso, ma sono stato lasciato? A caso, forse? E sentivo che non era così, io ero stato lasciato per una qualche precisa ragione”. (6)

NOTE
1. P. Scaglione, Parole scolpite…, op. cit., p. 45
2. Ibi, pp. 48-49
3. “Ecco perché mi hanno messo al bando”, intervista a Eugenio Corti…, op. cit., p. 48
4. P. Scaglione, Parole scolpite…, op. cit., pp. 79-80
5. Ibi, p. 80
6. Roberto Persico, “Il milite con la penna in mano”, in Tempi n. 16 del 19/04/2007, p. 48