“Il Cavallo Rosso” di E. Corti – Introduzione

Il cavallo rosso è simbolo della guerra; il cavallo verdastro (trasformato in “livido” dall’autore) è simbolo della fame (i lager russi) e dell’odio (la lotta civile); l’albero della vita indica il fatto che dopo ogni umana tragedia c’è sempre una ripresa della vita.
Autore:
Tressoldi, Alessia
Fonte:
CulturaCattolica.it

Il titolo del romanzo di Eugenio Corti è tratto dall’Apocalisse di S. Giovanni apostolo. Il legame del romanzo con L’Apocalisse, nel significato originario di “rivelazione”, è stato evidenziato da Laurent Mabire, che in un’ampia e articolata recensione all’edizione francese ha annotato:
“Eugenio Corti appare alla nostra epoca come un rivelatore, colui che trasforma il negativo in positivo, che ristabilisce l’ordine del mondo. (…) Il mondo è nello stato del negativo, nel quale le ideologie più generose, le più luminose, producono gli effetti più oscuri. Vivendo a contatto con questi soli neri, non immaginiamo che con fatica un’altra realtà. Eugenio Corti diventa il rivelatore del mondo, colui che dice, attraverso le sue frasi così semplici, che ciò che noi crediamo luminoso è in realtà l’oscurità, e che ciò che ci sembra l’oscurità – vale a dire l’oscurantismo – è in realtà una verità luminosa. (…) In questo senso Il cavallo rosso è, letteralmente, il libro dell’Apocalisse: dal greco Apokalupsis, rivelazione”. L. MABIRE, In illo tempore. L’apocalypse selon Eugenio, in Présence de Eugenio Corti, Editions L’Age d’Homme 2004, Lausanne, Suisse.
Anche i titoli dei tre volumi che compongono l’opera sono ispirati all’antica e perenne saggezza dell’Apocalisse: il cavallo rosso è simbolo della guerra; il cavallo verdastro (trasformato in “livido” dall’autore) è simbolo della fame (i lager russi) e dell’odio (la lotta civile); l’albero della vita indica il fatto che dopo ogni umana tragedia c’è sempre una ripresa della vita.
Il riferimento alla simbologia dell’albero della vita si esplicita con assoluta chiarezza nella conclusione del romanzo, a un tempo carica di speranza e drammaticità: non c’è tragedia, perché l’albero della vita ha salde le radici in cielo, ma neppure può esserci un lieto fine totalmente pacificante, perché la fioritura dell’albero radicato nella città di Dio non giunge alla pienezza nel tempo degli uomini. Se dunque l’albero della vita è segno di gioia infinita, il teatro della scena finale del romanzo non può che essere il paradiso. Per Eugenio Corti, infatti, il senso ultimo delle vicende umane si illumina solo accogliendo come punto di vista quello dell’eternità. Così lo scrittore non esita a porsi, anche e soprattutto nel momento finale del racconto, nella prospettiva di chi, avendo concluso il proprio percorso nel tempo, giunge a conoscere la Verità.