“Il Cavallo Rosso” di E. Corti – Stefano Giovenzana
Il 14 giugno 1940 Stefano Giovenzana entra a far parte di uno dei reggimenti più prestigiosi dell’esercito, il Terzo reggimento bersaglieri. Viene mandato sul fronte russo, dove partecipa a più di uno scontro durante l’avanzata verso Ivanovca.- Autore:
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La storia del romanzo ricopre un arco di tempo che si sviluppa tra il 1940 e il 1974. Il nucleo principale è formato dai Riva, una famiglia di industriali cattolici, che vive a Nomana, nel cuore della Brianza. La famiglia è composta dal pater familias Gerardo, la madre Giulia, Manno, il cugino che essendo rimasto orfano vive con loro, e dai 7 figli: Francesca, Ambrogio, Pino, Fortunato, Alma, Rodolfo e Giuditta. Le vicende personali di questi personaggi si intrecciano poi con quelle degli amici più cari, tra cui Michele, Stefano, Pierello e Luca, i fidanzati e le fidanzate dei Riva e i personaggi storici come don Carlo Gnocchi e Togliatti.
Stefano Giovenzana. Il racconto si apre con una scena agreste. Siamo alla fine di maggio del 1940. Stefano Giovenzana e suo padre Ferrante stanno finendo di falciare il campo. Il figlio sta aspettando l’arrivo dell’amico Ambrogio Riva, che quest’anno torna in anticipo per le vacanze estive dal collegio S. Carlo di Milano, a causa della minaccia della guerra che incombe sull’Italia. L’arrivo di Ambrogio viene festeggiato con grande gioia dalla famiglia Giovenzana, anche se porta con sé l’ombra della guerra. A pochi giorni dal suo rientro, infatti, il 10 giugno 1940, tutto il popolo di Nomana viene riunito nella piazza centrale, dove grandi altoparlanti montati prontamente dalla divisione fascista annunciano l’entrata in guerra dell’Italia. Pochi giorni dopo la mamm Lusìa riceve la cartolina-precetto di chiamata alle armi per suo figlio Stefano. La notizia crea grande sgomento e tensione nella madre, la quale affida immediatamente il figlio a Dio nella preghiera.
Il 14 giugno 1940 Stefano Giovenzana entra a far parte di uno dei reggimenti più prestigiosi dell’esercito, il Terzo reggimento bersaglieri. Viene mandato sul fronte russo, dove partecipa a più di uno scontro durante l’avanzata verso Ivanovca. Il militare italiano però prova pietas cristiana per i Russi contro cui combatte, perché “anche loro han madri e mogli a casa, le quali hanno bisogno di loro”. (E. Corti, Il cavallo rosso, pag.161). Gli Italiani hanno la meglio. Occupano la città. Nel frattempo Stefano scopre che anche l’amico Ambrogio si trova sul fronte russo, a soli 9 km dal suo reggimento, così gli propone, essendo Ambrogio sottotenente e avendo maggiore libertà di spostamento, di andarlo a trovare. I due si ritrovano nella trincea sul Don dove stanzia Stefano e passano il pomeriggio insieme. Ricordando i parenti a casa con l’amico e scambiandosi le notizie ricevute per lettera, Stefano ha il presentimento che non tornerà più alla Nomanella. Quello è infatti l’ultimo incontro tra i due amici. Sebbene l’autunno del 1942 rappresenti il periodo di maggiore espansione delle armate tedesche, e di conseguenza in qualche modo anche di quelle italiane, sta per iniziare la ritirata delle forze dell’Asse e la disfatta di Stalingrado. Il 19 dicembre arriva l’ordine di ritirata di 10 km e di prendere posizione dentro il villaggio di Calmicov, a difesa delle strade che da nord-ovest conducono a Mescoff, dove si trova la Celere con un reggimento tedesco. Il Terzo bersaglieri non sa però che i Tedeschi hanno già abbandonato la città senza aver avvisato gli Italiani, che si sono così messi in marcia da soli. Improvvisamente durante una sosta nei pressi del paese di Verciacovschi, la colonna della Celere viene sorpresa da una grande formazione di carri russi proveniente dal varco di Boguciar e viene annientata. Il Terzo reggimento giunge intanto a Calmicov, ignaro di tali avvicendamenti. Dopo aver dette le preghiere serali, Stefano giace dormiente in un’isba, quando viene svegliato. E’ la notte tra il 19 e il 20 dicembre. Il capitano lo manda in pattuglia con altri cinque soldati e il sottotenente Acciati. Durante la loro ispezione scoprono che i Russi si stanno muovendo e sono numerosi. Arrivano alla trincea italiana posizionata a qualche km di fronte al loro accampamento e scoprono che è stata annientata e i corpi dei militari morti in combattimento si stanno già congelando. Rientrano alla base e riferiscono l’accaduto al capitano e al colonnello. Essi non hanno la certezza che a Mescoff ci siano ancora i reparti dell’Asse, devono però arrivare alla città e, se fosse invasa dai Russi, liberarla, rappresentando essa un nodo cruciale. Sanno già in partenza di non disporre di mezzi a sufficienza. Arrivati alla soglia del paese, inizia la battaglia. Parte degli Italiani riescono a entrare in città, ma vengono circondati dai Russi e tagliati dal resto della colonna, che prende l’amara decisione di abbandonarli al loro destino.
Stefano si trova appostato in riva al fiume. Alcuni soldati lungo la linea si rendono conto della tragica situazione in cui sono e abbandonano il terrapieno. Inizia la battaglia, ma ben presto finiscono le munizioni. I Croati che sono con loro, per la paura di essere catturati dal nemico e torturati, iniziano a suicidarsi. Stefano decide di distogliere gli occhi da quel suicidio collettivo e di guardare solo al nemico. Improvvisamente sente una fitta al cuore, è stato colpito. Accasciandosi a terra ha gli occhi fissi sulla madre, seduta nella cucina di casa, al solito posto. La mamma lo guarda con gli occhi spalancati. E la sua anima abbandona il corpo. Nello stesso istante a Nomana, a tremila chilometri di distanza, la mamm Lusìa viene destata da un ticchettio alla finestra e lancia un grido. Suo figlio è morto e la sua anima è passata a darle l’ultimo saluto. Intanto Mescoff è sopraffatta.