Le sofferenze per i Giudei della Diaspora

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Il martirio di san Paolo (XIII secolo), Sancta Sanctorum, Roma

Più numerose e spesso violente le sofferenze a lui causate dai giudei di Gerusalemme e della diàspora, nelle cui sinagoghe Paolo programmaticamente entrava di sabato, appena giunto in un nuovo centro abitato. Perché la Parola non è accolta dai primi destinatari del Vangelo?
Chi ripercorre il suo itinerario missionario si rende conto della puntuale opposizione incontrata dalla sua predicazione agli ex correligionari locali. A cominciare dalla fuga rocambolesca da Damasco (cf At 9, 23-25; 2Cor 11, 32s), scacciato da Antiochia di Pisidia e da Iconio (cf At 13, 50; 14, 5s), preso a sassate a Listra (cf At 14, 19); battuto e imprigionato a Filippi (cf At 16, 23s), aggredito da facinorosi e scacciato da Tessalonica e da Berea.(cf At 16, 16; 17, 5-9. 13s), denunciato ai Romani a Corinto (cf At 18, 12-17).
Il periodo più drammatico fu il triennio efesino: «Contro le belve di Efeso» (1Cor 15, 32) rischiò la vita: imprigionato, spera di evitare una sentenza capitale (cf 2Cor 1, 8-10; Fil 1, 23-26). Sappiamo poi che furono i giudei provenienti dalla diàspora a sobillare quelli di Gerusalemme, procurando l’intervento romano per sottrarre Paolo al tentativo di linciaggio (cf At 21, 28ss; 22, 22-29); il trasferimento nel carcere di Cesarea si renderà necessario per sottrarlo a 40 fanatici decisi a sopprimerlo con un colpo di mano (cf At 23, 12-35).
Quanto alla persecuzione subita dalle autorità romane, sopravviene sempre in seguito a richiesta di facinorosi giudei del luogo e dei loro capi gelosi; ed è motivata unicamente da ragioni di ordine pubblico.
Soltanto ad Efeso, saranno gli argentieri pagani – temendo il calo delle vendite dei tempietti di Artemide – a sobillare la città contro i compagni di Paolo, per altro ben difesi dal cancelliere romano (cf At 19, 23-41).
Secondo il diritto romano, i governatori esigono il confronto accusato-accusatori e concedono a Paolo il diritto di difesa. Se gli negano la libertà è soltanto per compiacere le autorità giudaiche (cf At 24, 27; 25, 9). Solo Felice sperò di riscuotere i soldi di un baratto, ma poi manca poco che si lasci convertire (cf At 24, 22-26).
In genere il prigioniero viene trattato con riguardo, rinunciando Roma a giudicare in materia di indole religiosa. Essendosi appellato a Cesare, il cittadino romano Paolo sarà accompagnato nell’Urbe, dove subisce due tipi di prigionia, la seconda molto più dura della prima; seguirà la sentenza capitale che lo renderà testimone fino all’effusione del sangue.