L'incontro converte
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Sulla via di Damasco avviene la conversione: Saulo diviene Paolo, un uomo nuovo. Fino ad allora, il persecutore accanito si era imbattuto con gente che viveva in totale riferimento a Gesù di Nazareth, per il quale era disposta a morire, perché ritenuto il Messia Salvatore. A lui però non era ancora stato dato di vedere e udire Cristo di persona, né vivo né redivivo. Sulla via di Damasco, invece, accade ciò che amici e nemici erano ben lontani dal prevedere; una sorta di agguato, poi riconosciuto come tale da Paolo stesso: «Io, che sono stato afferrato da Gesù Cristo» (Fil 3, 12).
Quando ormai Damasco è vicina, verso mezzogiorno, il divino irrompe nella storia di un fervente fariseo, investito da una luce abbagliante e dal risuonare di una voce dall’alto; non diversamente dalle manifestazioni di Dio a Mosè, di fronte al roveto ardente (cf Es 3) e sul monte Sinai (cf Es 19).
Questo è il tempo è il modo con cui a Paolo accade il primo incontro con la persona di Cristo. Esperienza rinnovata 3 anni dopo nell’estasi nel tempio (cf At 22, 17-21) e in un altro rapimento fino al «terzo cielo» (2Cor 12, 1-4). Una esperienza che fa di lui un credente e alla quale potrà a ragione e autorevolmente rifarsi - da polemista e apologeta di se stesso - ogni volta che gli verrà contestata la sua legittimità di apostolo e il diritto di recare l’annuncio ai pagani da lui liberati dai condizionamenti giudaici: «Non sono forse apostolo? Non ho forse avuto la visione di Gesù, nostro Signore?» (1Cor 9, 1s; cf anche 15, 8-10; Gal 1, 1. 11-17; Fil 3, 7-9). Quando Paolo stesso ne parlerà nelle Lettere, questa esperienza d’incontro con il Risorto sarà ritenuta non soltanto una ”visione” (cf 1Cor 9, 1), ma una ”illuminazione” (cf 2Cor 4, 6) e soprattutto una ”rivelazione” e ”vocazione” (cf Gal 1, 15s).
Di quanto accade nel cuore umano, quando incontra il mistero di Dio, poco o tanto da noi rimane imperscrutabile. Confortati tuttavia da tutte queste testimonianze, di tale evento possiamo determinare qualche elemento.
In questa esperienza di conversione a Saulo è data innanzitutto la conoscenza della vera identità di Gesù, nello stesso tempo autore e oggetto della ”rivelazione”: Gesù di Nazareth, morto in croce, ora è vivo; ovunque presente e operante, gli ha parlato, lasciandolo tramortito.
La sua è una conoscenza di sé ”nuova”, tutta da attribuirsi alla iniziativa gratuita di Dio. Ora Paolo capisce che Dio l’ha anticipato, Cristo l’ha conquistato, i giorni luminosi e le tenebrose notti della sua esistenza sono tutti grazia. Ora scopre di essere stato scelto fin dal seno materno (cf Gal 1, 15s), non diversamente da Geremia (cf 1. 5) e dallo stesso anonimo «Servo di Dio» (Is 49, 1).
D’ora in poi, Paolo non si riterrà mai un uomo che si è fatto da sé, bensì un prodigio suscitato dal Risorto che va ricreando la storia: «Egli mi ha detto: ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12, 9); «È apparso anche a me come al feto abortito…Sono il più piccolo degli apostoli, io che non sono degno di essere chiamato apostolo… Ma alla grazia di Dio devo quello che sono e la sua grazia a mio riguardo non è stata inefficace. Al contrario, più di tutti loro ho duramente lavorato. Non io però, ma la grazia di Dio che è in me» (1Cor 15, 8-10); «Il Vangelo da me predicato non è a misura dell’uomo. Perché neanche a me è stato trasmesso o insegnato da alcun uomo. L’ho invece ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1, 11s).
Tutto ciò rappresenta un enorme stravolgimento della sua farisaica fiducia nel valore unico dell’osservanza della Legge antica, che scrivendo ai Romani e ai Galati dichiarerà definitivamente superata. Quanto gli è accaduto non è stato lo sviluppo logico di riflessioni o di lunga ascesi morale, ma il frutto di un imprevedibile intervento della grazia divina. È ciò che lo persuade di essere ormai anch’egli «apostolo», ma «per vocazione» (Rom 1, 1; 1Cor 1, 1) o «per volontà di Dio» (2Cor 1, 1; Ef, 1,1; Col 1, 1).
È una conoscenza che lo trasforma, perché – riconoscendo in Gesù il vero Cristo Salvatore egli percepisce coscientemente anche la vera identità del proprio io, che si realizza soltanto conformandosi a quella di Cristo.
Cristo gli ha aperto gli occhi e i suoi criteri di valutazione sono stati rovesciati: «Per me, infatti, il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21); «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui: non come una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quello che deriva dalla fede in Cristo» (Fil 3, 7-9).
La conversione di Paolo non è soltanto morale (un peccatore che ritrova la via del bene) o religiosa (un ateo che viene alla fede in Dio), ma conversione alla persona di Cristo come chiave di volta del destino umano, incontrando il quale si cambia integralmente tutto il modo di giudicare e di vivere. Più specificamente, qui Saulo passa dal giudaismo al cristianesimo, come. C. Barth riassume: «La vetta su cui mi ergevo è un abisso, la sicurezza in cui vivevo è perdizione, la luce di cui godevo è tenebra».
Il primo incontro di Paolo con Cristo risorto coincide con il primo incontro con la Chiesa, la cui caratteristica più qualificante è proprio la misteriosa connessione con Cristo. In tutti e tre i racconti degli Atti, ritroviamo il drammatico e sorprendente dialogo nel quale Gesù afferma di identificarsi con i cristiani: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?... Chi sei, o Signore?...Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 9, 4s; 22, 8; 26, 14). Viene già qui rivelato, all’accanito cacciatore di donne e uomini cristiani di Damasco, che chi tocca i cristiani tocca lo stesso Gesù Nazareno: il Risorto rimane in vitale rapporto con la Chiesa, come il Capo e le membra del suo nuovo Corpo. L’aveva già detto Gesù: «Chi accoglie voi accoglie Me, e chi accoglie Me accoglie Colui che Mi ha mandato» (Mt 10, 40).
Il seguito del racconto conferma che ormai Cristo parla e agisce tramite la Chiesa, che ne prosegue la presenza salvifica. Infatti, alla domanda: «Che devo fare, Signore?», Cristo risponde di recarsi a Damasco. Qui, dopo tre giorni di tramortimento, Anania gli si presenterà come un fratello mandato dallo stesso Gesù che gli è apparso sulla via, per ridargli la vista, per colmarlo di Spirito Santo mediante l’imposizione delle mani, per rimettergli i peccati nel lavacro battesimale (cf At 22, 10-16; 9, 10-19).