Attraverso la sofferenza
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«Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Sono le parole del Signore, che incoraggia Anania ad andare nella casa dove stava lo «strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli d’Israele» (At 9, 16). Paolo non tarderà a verificare sulla propria pelle la necessità che anche l’apostolo passi per la via della croce: «Il nostro Dio ci infuse coraggio nell’annunciare per voi il vangelo di Dio tra molte lotte» (1Tes 2, 2); «Siamo stati oppressi oltre misura, al di là delle nostre forze, da disperare persino della vita» (2Cor 1, 9); «Siamo diventati come la spazzatura del mondo, i rifiuti dell’umanità» (1Cor 4, 13).
I guai che ha passato Paolo sono proprio tanti: di natura fisica e morale, provenienti dai pagani, dai figli d’Israele, dagli stessi cristiani. Costretto a una infuocata difesa del suo operato, stende per i Corinti un elenco impressionante di fatiche e di prigionie, di avversità personali e di rischi mortali: «Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i 39 colpi; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumane e di briganti, pericoli dai miei connazionali e dai pagani, pericoli nelle città, nei deserti e nei mari, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità» (2Cor 11, 23-27; cf 2Cor 6, 5).
Riguardo alle fatiche fisiche connesse al continuo spostarsi cui si sottopose, da un calcolo approssimativo delle distanza superate, si arriva a più di 1000 Km nel primo viaggio missionario, intorno ai 1400 Km nel secondo, a circa 1700 Km nel terzo. A questi vanno aggiunti quelli dei viaggi precedenti e seguenti: lungo percorsi non sempre ben tracciati, con i mezzi di navigazione e locomozione che lasciavano ampio spazio al cammino.
Paolo accenna a una imprecisabile «malattia del corpo», per la quale i Galati non provarono ripugnanza (cf Gal 4, 13); e di una altrettanto misteriosa «spina nella carne», quasi uno schiaffo di satana «perché io non vada in superbia»; e le sue preghiere non valsero ad esserne liberato (cf 2Cor 12, 7s). Numerose le ipotesi fatte su questo male fisico - probabilmente gli alti e bassi di una epilessia, sia pure non grave—doloroso e ricorrente, attribuito allora a forze malefiche; chi ne era colpito andava evitato accuratamente; certo ne scapitava la sua immagine pubblica.
Sempre scrivendo ai Galati userà - quanto realisticamente? - l’espressione:«Porto nel mio corpo le stimmate di Gesù» (Gal 6, 17).
La stessa normale cura pastorale delle giovani Chiese da lui fondate era fonte incessante di sofferta responsabilità: «Il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese» (2Cor 11, 28). In contesti culturali e morali ancora così segnati dal paganesimo, le comunità erano anche soggette a divisioni interne (cf 1Cor 1, 10-16), turbate da scandali morali (cf 1Cor 5), incapaci di vera correzione fraterna (cf 1Cor 6), incerte nel giudizio su varie questioni teologiche e morali che comportava la novità cristiana: osservanze giudaiche (cf 1Cor 8), matrimonio e verginità (cf 1Cor 7), ordine nelle assemblee liturgiche (cf 1Cor 11), istituzione e carismi (cf 1Cor 12. 14), fine dei tempi e risurrezione (cf 1Cor 15).