La Chiesa: sposa bella e fedele di Cristo
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L’altra immagine, privilegiata da Paolo per descrivere il mistero di Cristo ormai inseparabile dalla sua Chiesa, è quella nuziale: la Chiesa è la sposa bella e fedele di Cristo sposo, che per lei dà continuamente tutto se stesso.
Il tema dell’alleanza nuziale per esprimere il rapporto tra Dio e il popolo che Egli si è scelto ricorre in tutto il Primo Testamento (cf Osea 1-3; Is 54 e 62; Ger 2 e 3; Ez 16 e 23; Mal 2, 13-17; Rut, Tobia, Cantico). Di questo patto Paolo rimarcherà la fedeltà assoluta di Dio: «Anche se noi manchiamo di fedeltà, egli però rimane fedele» (2Tim 2, 13): «Senza pentimenti sono i doni e la chiamata di Dio» (Rom 11, 29; 1,9). Altrettanto presente, nelle Scritture del Secondo Testamento, il tema di Cristo sposo, soprattutto nelle parabole del Regno (cf Mt 22, 2; 25, 1; Lc 12, 38). Nessuna meraviglia, dunque, che anche Paolo ricorra all’immagine sponsale per illustrare il rapporto tra Cristo e la comunità cristiana: «Provo per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo» (2Cor 11, 2).
Su questo tema, il testo più citato è quello di Ef 5, 21-33. L’apostolo sta dando agli sposi consigli di reciproca sottomissione, indicando come esempio l’amore che Cristo ha per la Chiesa e viceversa. Il «mistero» che la famiglia vive in modo peculiare e «sacramentale» tra le mura domestiche, è lo stesso che è vissuto in tutta la realtà ecclesiale: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (v. 32).
E l’amore sponsale tra Cristo e la Chiesa è riconoscibile da ciò che l’Uno compie per l’Altra. Cristo dona tutto se stesso per lei - sua carne -, purificandola e santificandola con il lavacro battesimale e la Parola, amandola come il proprio corpo, da lui nutrito (Eucaristia, banchetto nuziale) e curata (sotto la guida del Buon Pastore). La Chiesa - resa tutta gloriosa e senza macchia - lo riama con la sottomissione libera e grata, come le membra di un corpo rispetto la loro testa. Un mistero, quello ecclesiale, che Paolo vede significativamente già adombrato nel rapporto uomo-donna, Adamo-Eva, figure di Cristo nuovo Adamo e della Chiesa nuova Eva, «che formeranno una carne sola» (Gn 2,24).
Le immagini del corpo e della sposa mettono in gioco il mistero del rapporto di comunione: quello verticale, tra Gesù Cristo e tutti noi; ma anche quello orizzontale, tra tutti coloro che si distinguono nel mondo per il fatto di «invocare il nome del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1, 2). E Paolo ricorda ai Corinti che la loro unità, nella fedeltà ai propri carismi, sarebbe la testimonianza più efficace per i non cristiani che proclamerebbero “che veramente Dio è fra noi” (cf 1Cor 14, 24s).
In questo rapporto sponsale, la Chiesa non svolge unicamente una funzione passiva: tutta e sempre salvata, restando in totale dipendenza dall’azione dello Spirito di Cristo, essa esercita attivamente la funzione di Madre. È; la “nuova Eva”, che - insieme allo Sposo “nuovo Adamo” -genera e dilata la comunità cristiana, divenendo anch’essa in qualche modo salvante, comprincipio di diffusione della vita nuova.
Quest’ultimo aspetto prende risalto in tante espressioni usate da Paolo per dire in quale rapporto - paterno/materno e come co-operatore di Cristo - egli personalmente si è posto nei confronti delle comunità da lui fondate (vedi pp. 38s).
La funzione attiva della maternità della Chiesa è particolarmente evidente nell’esercizio ecclesiale del ministero della riconciliazione: «È; stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio (2Cor 5, 18-20).
«Noi siamo i collaboratori di Dio» (1Cor 3, 9), «ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (4,1). Anche il suo è ormai ministero della Nuova Alleanza, investito della luce divina, che non resta più velato (come in Mosé disceso dal Sinai), ma - a viso scoperto - riflette come uno specchio la gloria del Signore (cf 2Cor 3, 7-18).
E questa collaborazione è vissuta da Paolo come partecipazione paterna/materna alla fecondità della potenza dello Spirito: «Miei figli diletti, anche se aveste migliaia di precettori in Cristo, non avete però molti padri, perché nel Cristo Gesù per mezzo del Vangelo io vi ho generato» (1Cor 4,15).
«Miei figli, per i quali soffro di nuovo i dolori del parto, fino a quando il Cristo sia formato in voi» (Gal 4, 19); «Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci» (1Cor 3, 2; cf 1Tess 2, 7). Nel dare notizia agli altri degli esiti apostolici dei suoi viaggi, farà constatare ciò che l’azione di Dio ha compiuto «per mezzo loro» (At 14, 27; 15, 4-12), anche se l’opera compiuta non può essere attribuita unicamente all’azione dell’inviato, strumento sempre tanto debole (cf 1Cor 15, 20; 2Cor 4, 7; 12, 9s; Fil 4, 13; Col 1, 29; Ef 3, 7).