Le sofferenze da parte dei Cristiani

Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Giotto, San Paolo

Da parte degli stessi cristiani della Chiesa primitiva, Paolo – credente della seconda ora e
con un passato di persecutore dei nazzareni – non venne risparmiato da riserve, sospetti e rifiuti. Ciò che traspare dalle sue lettere corregge l’immagine troppo dolce e pacata della prima comunità cristiana descritta dagli Atti (cf At 2, 42-48; 4, 32-35). Tra Paolo e i suoi rivali, negli anni 40 e 50, si giunge agli insulti verbali, a polemiche senza esclusioni di colpi, in un clima a dir poco avvelenato, nel quale è accusato di duplicità, incoerenza, illegittimità.
Si assiste ad una sorta di tiro concentrato, proveniente dai giudeo-cristiani (i pochi, ma tenaci, residenti a Gerusalemme ed i molti disseminati nella diàspora del mondo ellenico), ma sembra anche da gente che si è lasciata influenzare da eccessi carismatici e trionfalismi, e anche di presunzioni e intellettualismi già di tipo gnostico.
Erano per lo più predicatori itineranti – uno si chiamava Apollo, pur bravo e amico (cf 1Cor 1, 12) – di passaggio nelle Chiese fondate da lui ad Efeso, a Corinto e in Galazia; o addirittura infiltrati provenienti da Gerusalemme. Rivali diversi, con obiezioni varie e che rimangono senza nome, visto che abbiamo loro notizie soltanto dalla puntuale difesa di Paolo, particolarmente nella 1ae 2a lettera ai Corinti, in quella ai Galati, ai Filippesi (cf cap. 3) con un accenno anche in quella ai Romani (cf 16, 17-20).
Tutti d’accordo nel contestargli la pretesa di autentico apostolo (a differenza degli apostoli di Gerusalemme), poi si differenziavano nella critica ai contenuti da lui predicati: poco rispettosi delle prescrizioni etiche e rituali che la Legge esigeva, non accompagnati da carismi taumaturgici e visionari, non abbastanza incentrati sul trionfo del Risorto, ecc.
Come reagisce a tutto questo? Innanzitutto, non nascondendo una profonda amarezza: Nella “lettera delle lacrime” leggiamo: «Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e con il cuore angosciato, tra molte lacrime» (2Cor 2, 4); «Da ogni parte siamo tribolati: battaglie all’esterno, timori al di dentro» (2Cor 7, 5).
In secondo luogo, rispondendo colpo su colpo, convinto che la difesa di se stesso e del suo insegnamento sia battersi per «la verità del vangelo» (Gal 2, 5. 14).
Cosa non affatto semplice. Teniamo presente che quello era ancora il tempo della prima comunicazione dell’Annuncio e le categorie e i termini teologici non potevano ancora essere definiti e condivisi. Perché l’operazione riuscisse c’era bisogno di assistenza divina. Portata ormai a temine la sua missione in Anatolia e in Grecia, è vicina la sua partenza per Roma, non senza prima visitare la Chiesa di Gerusalemme, cui consegnare la generosa colletta donata dalle sue Chiese. E qui Paolo sollecita confidenzialmente la solidarietà dei cristiani di Roma nel difendersi non solo dai Giudei, ma anche dai cristiani di stretta osservanza giudaica: «Vi esorto, fratelli, a lottare con me nella preghiera che rivolgete per me a Dio, perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea, e il mio servizio a Gerusalemme torni gradito a quella comunità» (Rom 15, 30s). E a Timoteo: «Voglio che gli uomini preghino ovunque si trovino, alzando al cielo le mani pure senza ira e senza contese» (1Tim 2, 8), soprattutto nei riguardi dei “nemici della croce” (cf Fil 3, 18).

Impossibile, però, ignorare gli eccessi nei quali il messaggero Paolo – a volte sanguigno e non portato a sfumature – cade nel portare e difendere il messaggio evangelico. Certamente i suoi rivali non erano teneri e ben disposti a comprendere la sua posizione teologica e missionaria. Ma le sue ingiurie e anatemi nei loro confronti sono altrettanto disdicevoli. Qualche esempio: «Costoro sono falsi apostoli, operai fraudolenti, travestiti da apostoli di Cristo. Niente di strano: lo stesso Satana si traveste da angelo luminoso: perciò non è gran cosa, se i suoi servitori si travestono da servitori della “giustizia”. La loro fine sarà conforme alle loro opere» (2Cor 11, 13-15; cf Gal 1, 9); «Che vadano a farsi castrare quelli che vi sobillano!» (Gal 5, 12); «Attenti ai cani! Attenti ai cattivi operai! Attenti ai fanatici della circoncisione!» (Fil 3, 2).
Molto preferibili le espressioni che ci assicurano un Paolo che le rivalità non se le procura ad arte,. Il contrario è vero: «Io mi sforzo di piacere a tutti e in tutto, senza cercare l’utile mio, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1Cor 10, 33). Accanto a questo Paolo scompostamente reattivo, c’è però quello che scrive: « Chi è debole senza che io sia debole? Chi insidiato, senza che io m’infiammi?» (2Cor 11, 29).