La tensione morale della vita cristiana
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La tensione morale della vita cristiana – tra la carne e lo Spirito (cf Rom 5,5; 7,5) – è pure
rilevante nel vangelo di Paolo.
Cristo risorto ha vinto il tempo ed è al di là del prima e del poi; e il cristiano è stato «fatto rivivere in Cristo,…con Lui risuscitato e intronizzato nei cieli» (Ef 2,5). Tuttavia, finchè si trova in questo mondo, il cristiano vive simultaneamente in una duplice condizione: quella temporanea, propria della realtà mondana, «visibile e provvisoria», e per la quale «l’uomo esteriore» è sottoposto all’usura del tempo, come tutte le cose; e quella propria della grazia, «invisibile ed eterna», per la quale «l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno» (cf 2Cor 4, 16-18).
Ne deriva che, finché il corpo del credente battezzato non abbia «rivestito l’immortalità» (1Cor 15, 54), il peccato può ancora trovare nel corpo «mortale» (sede della concupiscenza) il mezzo per continuare a nuocere. Paolo stesso non esita a confessare la drammatica lacerazione da lui personalmente avvertita: «Trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male si insedia accanto a me» (Rom 7, 21). Così come lo richiamerà ai Galati: «La carne, infatti, ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste» (Gal 5, 17).
Si rende allora nuovamente decisivo l’irrompere dell’azione della grazia: «Me sventurato, chi mi strapperà da questo corpo di mortale? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rom 7, 24s). Se è vero che già rifulge nei nostri cuori quella gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo, è pure vero che «noi portiamo questo tesoro nei vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4, 6s). E tuttavia è proprio «quando sono debole, che sono forte» (2Cor 12, 10); alla preghiera che lo liberasse dalla «spina della carne», il Signore aveva risposto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12, 7-9). Infatti, «la debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1, 25).
Dunque, «morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rom 6,11), sopravvive in noi, «a causa della debolezza della nostra carne» (Rom 6, 19), la possibilità di peccare ancora. E però «il peccato non dominerà più su di voi, perché non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia» (Rom 6, 12-14).
Ai Galati – tentati di annullare il vangelo della grazia di Cristo, ridando alle opere della Legge la capacità di giustificare - Paolo dirà: «Siete stati chiamati a libertà» (Gal 5, 1); e ai Corinti: «Dove è lo Spirito del Signore, ivi è la libertà» (2Cor 3, 14).
Per resistere al male ed essere capaci di bene, non resta che liberare la vecchia libertà nell’obbedienza allo Spirito: «Camminate secondo lo Spirito» (Gal 5, 16). «Se vi lasciate guidare dallo Spirito» (Gal 5, 18), se ne raccoglieranno i frutti: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5, 21; cf Rom 6, 15; 8, 24; Fil 1, 9s).
Paolo non è certo un maestro di ascesi che eleva a ideale le mezze misure. Ogni cristiano è chiamato nientemeno che alla conformazione a Cristo, «giungendo allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 13; cf Col 1, 28) e senza escludere il desiderio di un premio finale meritato. Non vengono sottovalutate le difficoltà interne, esterne e diaboliche, ma sempre si confida nell’immancabile aiuto della grazia di Cristo: «In realtà, noi viviamo nella carne, ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze» (2Cor 10,4); «Attingerete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza» (Ef 6,10; cf Ef 3, 20; Gal 3,5; Col 1, 29; Fil 2. 13; 1Tes 2, 13); «Tutto posso in Colui che è la mia forza» (Fil 4, 13). «Vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3, 9-11). Anche se la vigilanza non potrà mai mancare (cf 1Tes 5, 5-6).
La tensione morale che caratterizza la condizione del cristiano è sovente da lui rappresentata come un «camminare in una vita nuova» (Rom 6,4; cf Gal 5, 16), una navigazione (cf 2Tim 4,6), un combattimento spirituale con armi adeguate ad una «buona battaglia» (2Tim 4,7; cf 1Tim 1,18; Ef 6, 11-19; 1Tes 5, 8), una gara sportiva: corsa (cf Fil 3, 12-14; Gal 5, 7; 1Cor 9, 24s) o incontro di pugilato (cf 1Cor 9, 26s).
A preservare il cristiano dal moralismo è la coscienza della presenza di Cristo: «Nessuno vi condanni più in fatto di cibo o bevanda o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future: la realtà invece è Cristo» (Col 2, 16).