L'uomo nuovo - la giustificazione

Fonte:
CulturaCattolica.it
Dujardin, Conversione di Paolo

Lo Spirito di Cristo non è dunque soltanto il Maestro interiore, una garanzia delle promesse fatte, ma costituisce il fermento che trasforma il ”vecchio uomo” in figlio di Dio: «Tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio… Avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!...Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi» (Rom 8, 14-16; cf Gal 4, 4-7; Tito 3, 5-7).
Determinante rilievo assume lo Spirito del Padre e del Figlio, effuso a Pentecoste, in quell’esplicito rapporto con Dio che è la preghiera del cristiano. Senza di Esso, non ci sarebbe vera preghiera: «Nessuno può dire ”Gesù è Signore”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12, 3). Sempre desto nella parte più segreta del nostro essere, lo Spirito supplisce alle nostre carenze e offre al Padre l’adorazione a Lui dovuta, insieme alle nostre aspirazioni più profonde: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare; ma lo Spirito stesso intercede per noi con insistenza, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rom 8, 26s).

La giustificazione (dikaiosýne) è il frutto di tutta la vicenda redentiva: dalla universale e irrimediabile condizione di ignoranza e corruzione in cui versava l’umanità decaduta, la grazia di Dio misericordioso – con l’effusione dello Spirito di Cristo morto e risorto – ci ha resi giusti, ”creatura nuova”. In una misura che va oltre ogni attesa: «Laddove il peccato è abbondato, ha sovrabbondato la grazia» (Rom 5, 20).
Dunque la giustificazione non è soltanto liberazione dal peccato e dalla morte o possibilità di un miglioramento morale. Con il perdono ci viene data una nuova appartenenza, diventiamo di un altro ”Kúrios”, del Signore Gesù. Essa è una rinascita di tutto l’essere, una santificazione che conferisce all’uomo un nuovo statuto interiore, da cui le opere giuste fluiranno come frutto della salvezza ricevuta: «Secondo la verità che è in Gesù, dovete deporre l’uomo vecchio… Dovete rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Ef 4, 21-24; cf Col 3, 9).

Tale rinascita, conseguente alla fede di chi si lascia abbracciare dalla misericordia divina, è accompagnata e visibilmente espressa dal rito efficace del battesimo: «Tutti voi, infatti, siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3, 26s). L’immersione nell’acqua del fonte seppellisce il peccatore nella morte di Cristo (cf Col 2, 12), da dove esce mediante la risurrezione con Lui (cf Rom 6, 2-5). È così divenuto creatura nuova e purificata (cf Ef 5, 26; 1Cor 6, 11) «nel lavacro di rigenerazione» (Tito 3,5) e da Cristo illuminata (cf Ef 4, 14).

La ”cristificazione potrebbe essere il termine più appropriato e comprensivo di quanto la giustificazione dona all’uomo nuovo, purificato e santificato dalla fede e dal battesimo.
La concezione che Paolo ha dell’uomo nuovo è caratterizzata da una componente ”mistica”, in quanto comporta una mutua compenetrazione tra Cristo e il cristiano, una intima immedesimazione di noi con Cristo e di Cristo con noi. È tipico soprattutto di Paolo affermare che i cristiani sono ”in Cristo Gesù” (Rom 6, 3.4. 5-11; 8, 1.2.39; 12, 5; 16, 3.7.10; 1Cor 1, 2.3 ecc). Altre volte egli inverte i termini e scrive che ”Cristo è in voi/noi” (Rom 8,10; 2Cor 13,5) o ”in me” (Gal 3, 20). Fino a qualificare le nostre sofferenze come ”sofferenze di Cristo in noi” (2Cor 1, 5), così che noi «portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4, 10).
L’essere ”di, in, con, per” Cristo fu innanzitutto la personale esperienza di Paolo, fin dall’incontro sulla via di Damasco: «Per me vivere è il Cristo» (Fil 1, 21), «Non son più io che vivo, ma il Cristo che vive in me» (Gal 2, 20), e da lui attinge ogni conoscenza ed energia. (Si veda il commento di Gregorio di Nissa, a p. 43)
E questo è già vero anche per ogni credente battezzato, «quelli che sono in Cristo Gesù» (Rom 8, 1); «quelli che sono di Cristo» (1Cor 15, 23). Cristo diventa il soggetto più profondo di tutte le azioni vitali del cristiano, che ”appartiene” ormai a Cristo, perché «ha lo Spirito di Cristo» (Rom 8, 9); «E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione» (Rom 8, 10).
Il rapporto del cristiano con Cristo, del quale porta il nome, non è dunque parziale e di superficie: «In Lui vivete, radicati ed edificati in Lui» (Col 2,6; cf Ef 3,18). Perciò «ciascuno guardi come costruisce; poiché nessuno può porre un’altra base oltre a quella che già esiste: il Cristo Gesù» (1Cor 3, 10). È Lui la pietra angolare che dà a tutta la costruzione ecclesiale solidità e consistenza (cf Ef 2, 20). Nessun istante o azione è concepibile al di fuori di Lui: «Se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore: Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore» (Rom 14, 8).
Questa realtà inedita – l’essere con il Cristo – è frequentemente espressa da Paolo con termini da lui appositamente coniati. Già dal momento della creazione l’uomo è stato conosciuto e destinato da Dio ad essere conforme all’immagine del Figlio suo (cf Col 1,15), chiamato ad essere in Lui giustificato e glorificato (cf Rom 8, 28s). Ora, con la fede e il battesimo, il cristiano è con-crocifisso e con-sepolto, con-vivificato e con-risuscitato (cf Rom 6, 3-11; Col 2,12), con Lui soffre e regnerà nella gloria (cf Rom 6,5; Fil 3, 10. 21; Col 3,1; 2Tim 2,11).