L'annuncio della Speranza

Fonte:
CulturaCattolica.it
Caravaggio, Conversione di san Paolo

Le espressioni paoline suggeriscono ai credenti ciò che oggi chiamiamo “inculturazione
dell’annuncio della fede (vedi a p. 33), ma anche di “generare cultura“ cristianamente ispirata.
Per un verso, l’apostolo esorta a discernere e ad accogliere tutti i valori etici universali: «Tutto ciò che c’è di vero, nobile, giusto, puro, amabile, lodevole, virtuoso e onorato, sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4, 8); nulla è estraneo, profano all’interesse e al vaglio del credente, perché «tutte le cose sono vostre. Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3, 22s); «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1Tes 5, 21). Nessun momento o attività è estraneo alla radicale novità del credente: «Sia che vegliamo, sia che dormiamo, viviamo insieme con Lui» (1Tes 5, 10) e «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rom 4, 7s).
Per altro verso, traccia la linea di demarcazione tra il bene e ciò che non lo è: «Astenetevi da ogni specie di male» (1Tes 5, 21). E mette in guardia – in un corretto dialogo – dal rischio di lasciarsi contaminare da categorie ideologiche: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rom 12, 1); «Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia, con i vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (Col 2, 8); «Non lasciatevi legare al giogo degli infedeli: Quale rapporto tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?...» (2Cor 6, 14).

La buona speranza è la virtù che rinnova la volontà e rafforza il desiderio di felicità nella vita eterna. Diversa dalle piccole speranze in beni immediati e dalle astratte utopie, non consente facili ottimismi o amari pessimismi, non coincide con gli eroici stoicismi.
Essa trova solido fondamento in Cristo, morto e risorto: «Cristo Gesù, nostra speranza» (1Tim 1, 1); «lo stesso Signore nostro Gesù Cristo,…che ci ha dato una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene» (2Tes 2, 16). E, perché gli inquieti Tessalonicesi non si affliggessero «come gli altri che non hanno speranza» (1Tes 4, 13), li conferma nella fede in Cristo morto e risuscitato, che radunerà insieme con Lui, sia quelli «sopravvissuti sino alla venuta del Signore», sia «quanti si sono assopiti nella morte» (cf 1 Tes 4, 13-18). Ai Corinti – influenzati dalla cultura greca, per la quale la salvezza è soltanto liberazione dal corpo e dal mondo – dirà che Cristo risorto è il primo cittadino e insieme l’artefice di una umanità, nuova anche nel corpo: «Si semina corruttibile e risorge incorruttibile,…glorioso,…pieno di forza,…spirituale» (1Cor 15, 35-44). Infatti, l’uomo che proviene da Adamo è di terra, mentre quello che proviene da Cristo è dal cielo (cf 1Cor 15, 45-52). Quindi «la nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3, 20s).
Noi cristiani dunque, scrive ai Romani, «teniamo viva la nostra speranza» (Rom 15, 4), affidandoci al «Dio della perseveranza e della consolazione» (v 5; cf 2 Cor 1, 2s); una consolazione che in noi abbonda per mezzo di Cristo (cf 2Cor 1, 4) e con il «conforto dello Spirito Santo» (At 9, 31); il quale ci rende capaci di darne anche agli altri (cf 1Tes 4, 18). Lo Spirito è una generosa caparra che Dio ci ha dato come anticipo e insieme come garanzia della nostra eredità futura (cf 2Cor 1, 22; 5, 5; Ef 1, 13s).
Il cristiano protende tutto il suo sguardo sul futuro ritorno del Signore, ma deve guardarsi dalla pigrizia e dal disimpegno che distraggono dalle responsabilità storiche. «La nostra cittadinanza è nei cieli» (2Cor 5,1), scrive Paolo, e «mi protendo nella corsa per afferrarlo, io che sono già stato afferrato dal Cristo» (Fil 3,12). Ma l’attesa cristiana è vigilante nell’operosità: «Si, voi tutti siete figli della luce e figli del giorno…perciò non dobbiamo dormire come gli altri, ma stare svegli e lucidi di mente, …mettendoci la corazza della fede e dell’amore e l’elmo che è speranza della salvezza» (1Tes 5, 5-8). Ai Corinti porterà l’esempio personale di atleta che corre nello stadio e tira di pugilato (cf 1Cor 9, 24-27), in attesa che «il Signore, giusto giudice, gli consegni la corona di giustizia» (2Tim 4, 7s).
È una speranza sorretta dalla incrollabile certezza che Dio ci vuole salvare in Cristo e che per noi e in noi intercede lo Spirito stesso: «Nella speranza noi siamo stati salvati» (Rom 8, 24); «Attendiamo con perseveranza» (v 25), perché «lo Spirito soccorre alla nostra debolezza…e intercede con insistenza per noi» (v. 26); nel disegno di salvezza in Cristo, «primogenito fra molti fratelli», siamo stati «chiamati, giustificati e anche glorificati» (vv 28-30). «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (v. 31); il Dio che non ha risparmiato suo Figlio, tutto ci donerà. Nulla e nessuno «ci potrà mai separare dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (vv 32-39). «Siamo addirittura orgogliosi delle nostre sofferenze, perché sappiamo che la sofferenza produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude» (Rom 5, 3s). Le avvisaglie della nascita del nuovo mondo per i figli di Dio sono già presenti nel travaglio della storia (cf Rom 8, 18-25).
Con la speranza di chi cammina tra un “già compiuto” e un “non ancora”, il cristiano rivive così il mistero pasquale di Cristo: «Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 1s). Il mondo di quaggiù è l’“uomo vecchio”, la “carne”, il “peccato”, che il cristiano ha sepolto nel fonte battesimale (cf Rom 6, 2-7). Il mondo di lassù, invece, è l’ “uomo nuovo”, lo “spirito”, la “grazia” è quanto il battesimo ha reso presente in noi: è il mistero di Cristo stesso, un tesoro che è già in noi, anche se in vasi fragili, e si manifesterà soltanto alla fine dei tempi, quando Cristo sarà «tutto in tutti» (Col 3, 11). Le “cose di lassù” hanno già fatto irruzione nella terra, ma «il significato dell’universo non sta nell’ universo» (L. J. Wittgenstein).