L'annuncio alle genti

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Raffaello, Paolo prega ad Atene

Nell’annuncio alle genti. Paolo non era estraneo alla cultura ellenista (vedi a p.4). Nel discorso sull’areopago di Atene (At 17, 22-31; cf At 14, 15-18, ad Antiochia di Pisidia) ritroviamo in sintesi l’incontro-scontro della sapienza cristiana con quella pagana, un modello di “inculturazione della fede”.
Il missionario Paolo sa che non si può annunciare una verità nuova e vitale, senza partire da un terreno comune, una pietra di paragone, un linguaggio comprensibile dall’interlocutore, in qualche modo preparato e predisposto ad accoglierla come risposta ad una sua avvertita esigenza ed attesa. Per questo, inizia lodando la eccellente religiosità loro e di ogni uomo, naturale ricercatore di Dio «non lontano da ciascuno di noi», che siamo «progenie di Lui»; e si complimenta per l’altare dedicato «al Dio ignoto», prova della loro apertura a riconoscere anche qualche altra eventuale divinità rimasta ancora da loro sconosciuta.
Ma non rinuncia a muovere la sua critica al politeismo e alla pretesa di ridurre la trascendente divinità di Dio a simulacri (prodotti «ad arte e con ingegno umano», e collocati «in templi fatti dalla mano dell’uomo»). Non esita a proporre un solo Dio creatore «che ha fatto il mondo e tutto ciò che vi si trova», e che dà «a tutti la vita e il respiro ad ogni cosa».
Cose tutte in contrasto con tutta la filosofia antica, per la quale il cosmo è Dio, esiste dall’eternità, tutt’al più può aver bisogno di un “demiurgo” che lo ordini; per la quale gli astri sono divinità separate e imperiture, sia pure in divenire ciclico, nell’ eterno ritorno di un tempo che si morde la coda.
E soprattutto Paolo non tace l’annuncio più nuovo e decisivo, «quello che voi onorate senza conoscerlo»: l’avvenimento di Cristo, un uomo designato da Dio, con il quale hanno termine «i tempi dell’ignoranza»; che va accolto da tutti con profondo ravvedimento; a cui è riservato il compito di giudice universale; la cui missione di Salvatore è garantita dal fatto che è risorto dai morti.
Proprio la dottrina giudeo-cristiana della risurrezione dai morti gli attira più di altro la derisione del filosofo greco, che al massimo era giunto all’idea dell’anima immortale, che si libera dalla materialità del corpo, nella quale era caduta per sua disgrazia. La fede biblico-cristiana implica invece la salvezza della totalità dell’uomo e anche della materia, nei «nuovi cieli e della nuova terra»; ed esclude la teoria orfica della trasmigrazione delle anime, della loro preesistenza e ricaduta in corpi malvagi. Su questo lo scontro tra le due sapienze è totale.
Tuttavia, anche stavolta si realizza il «per guadagnare ad ogni costo qualcuno» (1Cor 9, 22): «Paolo uscì di mezzo a loro. Alcuni però s’unirono a lui: fra questi Dionigi l’Aeropagita, una donna chiamata Damaride e altri con loro» (At 17, 34). Era nato il “piccolo gregge” di Atene.