Il secondo viaggio di Paolo

Fonte:
CulturaCattolica.it
Raffaello, San Paolo davanti al Console

Il secondo viaggio (At 15, 36-18, 22) durerà circa 3 anni, tra il 49 e il 52 d. C.. Sul punto di ripartire, i due apostoli si separano: Paolo si rifiuta di portare con sé Marco, che salpa con Barnaba alla volta di Cipro e altrove (forse anche in Italia settentrionale). Invece Saulo, insieme a Sila, torna in Asia Minore, a vedere come stanno le Chiese fondate nel primo viaggio. Ma, lungo questo secondo itinerario, l’Apostolo delle genti avrà modo di incontrare un altro mondo, quello greco-romano.
A Listri si aggrega Timoteo, di padre greco e che sarà tanto caro a Paolo. Docili allo Spirito, dopo aver attraversato la Frigia ed evangelizzato la Galazia, rinunciano ad entrare nella provincia di Asia e della Bitinia, costeggiano la Misia e scendono a Troade, nel nord-ovest della attuale Turchia. Qui Paolo ha la visione notturna del Macedone che lo supplica: «Passa in Macedonia e aiutaci!». Così Paolo si sente chiamato a mettere piede sul suolo d’Europa (cf At 16, 9s).
Quindi si dirigono verso Samotracia e Neapoli; di qui a Filippi, colonia romana ormai città latina del primo distretto della provincia macedone. Battezzano Lidia, commerciante di porpora incontrata durante una riunione di preghiera lungo il fiume, e ne accettano l’ospitaltà. Ma vengono bastonati e incarcerati, in seguito alla denuncia fatta da una schiava indovina (e dei suoi padroni), i cui guadagni la loro predicazione aveva messo in pericolo. Nottetempo, li libera dalle catene un terremoto. Temendo la punizione da parte dei magistrati, il disperato carceriere tenta il suicidio; ma Paolo lo dissuade e lo battezza con tutta la famiglia. Saputo poi che Paolo e Sila sono cittadini romani, le autorità li rimettono in libertà (cf At 16, 11-40). Lì crescerà una bella comunità cristiana, a cui l’Apostolo invierà da un’altra prigione la lettera della gioia e dell’affetto, quella appunto ai Filippesi.
Da qui giungono a Tessalonica, dove convertono non pochi Greci. Colti da gelosia, i giudei li denunciano presso le autorità pagane, coinvolgendo pure Giasone, che li aveva ospitati. I missionari sono fatti partire di notte per Berea, centro portuale della Macedonia. Qui si ripete ciò che era accaduto a Tessalonica: conversioni ancor più numerose e ostilità fomentate da fanatici giunti da Tessalonica. Paolo allora viene accompagnato ad Atene, dove attende a lungo la nave che porta Sila e Timoteo.
Per quanto devastata dai romani nel 146 a. C., Atene era pur sempre la capitale della sapienza, dell’arte e della democrazia, anche senza lo splendore dei secoli V e IV a. C.. Paolo non perde tempo: ogni giorno discute con i pagani in sinagoga e con i passanti sulle piazze. I filosofi epicurei e stoici, incuriositi, lo invitano sull’Areopago, perché questo ciarlatano si spieghi meglio. È qui che Luca mette in bocca a Paolo il magistrale annuncio di Cristo Risorto ai pensatori politeisti di Atene (cf At 17, 11-33). Se ne parlerà più avanti.
Lo scarso successo non scoraggia Paolo, che percorre i 50 Km che lo portano a Corinto, capitale della provincia romana dell’Acaia, ancora più cosmopolita e corrotta di Atene. Nella numerosa comunità giudaica del luogo, trova ospitalità presso i coniugi cristiani Aquila e Priscilla, provenienti da Roma, da dove nel 49-50 d. C. l’imperatore Claudio aveva allontanato tutti i Giudei. Sono anch’essi fabbricanti di tende e Paolo può lavorare con loro (cf At 18, 1-3).
Sopraggiunti Sila e Timoteo, danno inizio alla predicazione, rifiutata dai giudei, ma accolta dal capo della sinagoga Crispo e famiglia; la accolgono pure i pagani ben disposti, tra i quali un certo Tizio Giusto. Un’altra visione lo incoraggia a «non tacere, perché Io ho un popolo numeroso in questa città» (At 18, 10). Da qui scrive le due lettere ai Tessalonicesi.
Così Paolo si ferma un anno e mezzo, tra l’inverno del 50 e l’estate del 52 d. C.. Verso la fine del soggiorno a Corinto, i giudei riescono ancora a trascinarlo in tribunale, ma il pro-console Gallione lo lascia libero, rifiutandosi di trattare le loro questioni religiose; ne va di mezzo lo stesso capo sinagoga Sostene, addirittura percosso dalla sua gente (cf At 18, 12-17).
Quindi, in compagnia di Aquila e Priscilla, s’imbarca per la Siria e giunge di nuovo a Efeso, da cui riparte troppo presto per Cesarea. Ha quindi modo di «salutare la Chiesa di Gerusalemme» per poi raggiungere Antiochia. Ben presto, però, riparte per confermare nella fede «tutti i discepoli della Galazia e della Frigia» (cf At 18, 18-22).