Autorità e paternità in san Paolo
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Proprio rivolgendosi ai Corinti, che insieme ai Galati gli avevano procurato dispiaceri a non finire, Paolo assicura: «Siete nel nostro cuore per morire insieme e insieme vivere» (2Cor 7,3); «Fateci posto nei vostri cuori» (2Cor 7,2). (Sulla carità pastorale di Paolo si veda il commento di s. Giovanni Crisostomo a p. 44s)
Sappiamo quante volte e con quale vigore fu costretto a giustificare la sua autorità di “tredicesimo apostolo”. I suoi interventi – da vicino o da lontano che fossero – non soltanto erano chiarificatori di temi teologici ancor oggi complessi, ma anche vigorosi, perché venissero posti in atto provvedimenti disciplinari. Tuttavia, si può dire che nei suoi riguardi non si pone il dilemma autorità carismatica/potere giuridico.
La carità pastorale può benissimo ricorrere ai rimproveri. Senza rancore vendicativo, ma per salvare i diritti della verità (prima carità che il pastore deve al suo gregge) e in vista del vero bene di chi li riceve. I dovuti rimproveri non mancheranno, anche se preceduti, all’inizio di ogni lettera, dal ringraziamento per i doni pure presenti.
Manderà più volte Tito a Corinto per richiamare la comunità alla doverosa obbedienza (cf 2Cor 9, 13; 7, 6ss). Avendo cura di mettere ben in chiaro che «non abbiamo alcun potere contro la verità, l’abbiamo solo a favore della verità» (2Cor 13, 8); «Non è vero che vogliamo spadroneggiare su di voi nella sfera della vostra fede. Siamo invece collaboratori per la vostra gioia» (2Cor 1, 24).
I Galati l’avevano accolto «come un angelo di Dio, come Cristo Gesù». Ed ecco lo sconcerto di Paolo: «Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità?» (Gal 4, 14-16).
Ai Tessalonicesi potrà garantire di aver svolto opere di evangelizzazione, «non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori» (1Tes 2, 4); si è astenuto dall’adulazione, con personale disinteresse e – pur potendolo fare – senza far pesare «la nostra autorità di apostoli» (vv 5s), perché i suoi provvedimenti hanno loro procurato non «la tristezza del mondo, che produce la morte», ma «la tristezza secondo Dio, che produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza» (2Cor 7, 9s); e li assicura che l’affetto – il suo e di Tito – è cresciuto, «per come tutti gli avete obbedito e come l’avete accolto con timore e trepidazione. Mi rallegro, perché posso contare totalmente su di voi» (2Cor 7, 15s).