Cap. 8 Così va spesso il mondo...
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Quella che dallo stesso Manzoni è stata definita "la notte degli imbrogli e dei sotterfugi" è davvero gustosissima nella sua drammaticità e va letta con molta attenzione. Tutti i personaggi, attraverso il loro modo di agire (perché di sola azione si tratta, e di azione concitata), vengono bonariamente presentati nei loro limiti umani, che l'autore non fa nulla per nascondere; e, come sempre, vien fuori il vero cuore di ciascuno. Proverbiale il famoso "Carneade, chi era costui?" che apre il capitolo sulla serenità meditabonda di don Abbondio, sgarbatamente sconvolta dal susseguirsi di imprevisti; divertente la sagacia paesana della buona Agnese, che trova il punto debole di Perpetua rimasta zitella perché … credereste? (una conoscente) s'ostinava a dire che non vi siete maritata con Beppe Suolavecchia, né con Anselmo Lunghigna, perché non v'hanno voluta…; prudente il buon Tonio con le sue venticinque belle berlinghe nuove; indimenticabile il povero Gervaso, che ci resterà sempre nella mente per il suo saltellare senza senso e i suoi occhi spiritati… e così via fino al sagrestano Ambrogio, che per esser più lesto dà di piglio alle brache e (…) se le caccia sotto il braccio(…) e giù balzelloni per una scaletta di legno
Si tratta veramente di una notte memorabile e drammatica che avrebbe potuto mettere fine alla vicenda dei due sposi; e invece segnano l'inizio di una lunghissima odissea assaporata alternativamente con dolore, con impazienza, con rassegnazione, con ribellione, in un intreccio sapientissimo con le vicende storiche di quel Seicento lombardo.
Naturalmente non è sufficiente, in tutto quell'agire concitato, la breve pausa di respiro che il Manzoni ci consente introducendo lo sfondo paesaggistico notturno e lunare, che segna il contrasto con l'agitazione di quelle ore. Occorre, come sempre, un respiro più ampio, che consenta al lettore una sia pur breve riflessione: " In mezzo a questo serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s'era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l'apparenza di un oppressore;eppure, alla fin dei fatti era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente ai fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo…, cos' andava nel secolo decimo settimo.
Molto si dovrebbe dire su questa pausa concessaci da Manzoni. La prima notazione riguarda quella capacità di fermarsi un momento, anche quando le circostanze hanno ormai preso il sopravvento e sembrano incontrollabili, per "fare il punto della situazione".
Sembra ormai che anche l'uomo, assimilatosi agli animali, debba sempre e solo agire per istinto: è vero che quando l'imprevisto incombe, non è facile stare ad elucubrare, anche perché la reattività tante volte è l'unica possibilità di salvezza. Ma se "la reattività", o meglio, la reazione, non nasce da un temperamento abituato a dare un giudizio sui fatti, facilmente si possono fare delle scelte irreparabili. Ecco perché è importante educare la libertà e l'intelligenza a dare il giusto valore a tutte le cose: solo in tal modo si diventa capaci di far fronte all'imprevisto con dignità. E questa è un'osservazione di carattere generale.
Nella fattispecie del racconto, invece, mi pare interessante la sottolineatura da parte dell'autore del pericolo di lasciarsi ingannare dalle apparenze: e non si tratta di una osservazione gratuita, come dimostra la bonaria conclusione: "Così va spesso il mondo…".
Non ci vuole molta fantasia per rilevare che le cose vanno sempre così, anche nel secolo ventunesimo. Si è legati più all'apparenza che al significato di quel che accade e se non si conoscono tutti i fattori in gioco è molto facile ingannarsi. Il problema, allora, credo stia piuttosto nel chiederci: ma noi vogliamo davvero conoscere la verità? O ci accontentiamo delle apparenze?
E l'uomo è fatto per le apparenze o per la verità? Per rispondere non c'è che interrogare il proprio cuore.
La terza osservazione che si impone è certamente relativa l'uso delle apparenze per stravolgere la verità della realtà: si tratta purtroppo non più di un pericolo legato ad un atteggiamento irriflessivo, quanto piuttosto ad una prepotente volontà di dominare le persone e le circostanze sulla base di un giudizio volutamente menzognero. Ecco allora che il trionfo dell'apparenza diventa strumento della più odiosa ingiustizia.