Cap. 12 Renzo davanti ai tumulti di san Martino
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In questo capitolo il nostro Renzo viene reso testimone di quella grande Storia che coinvolge tutto il popolo di quell'anno (1628) del Seicento milanese. Giunto a Milano, gradatamente, si accorge delle ripercussioni della carestia che si era fatta sentire anche nel suo paesello: assistiamo così anche noi al graduale esplodere della ribellione nei confronti dei presunti affamatori, mugnai e panificatori: "nasce un'opinione ne' molti, che non sia cagione la scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, predetta; si suppone tutt'ad un tratto che ci sia grano abbastanza per il consumi: supposizioni che non stanno né in cieli né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza. I governati sono impotenti perché tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno la virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuori stagione". E la gente, che ancora non ha perduto l'energia per protestare, chiede agli amministratori dei rimedi più generosi e decisivi.
Il gran cancelliere Antonio Ferrer, incaricato di sostituire il Governatore, don Gonzalo Fernandez de Cordoba impegnato nell'assedio di Casale, vide, e chi non l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare produrla. Così fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto trentatre lire al moggio: e si vendeva a ottanta, agendo come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovanire, alterando la sua fede di battesimo.
Oggi, dopo tanti anni di storia e di storie analoghe, guardiamo con una certa superiorità questo Antonio Ferrer, che è assolutamente incapace di gestire responsabilmente una tale emergenza e si lascia coinvolgere dall'emotività del popolo, non rendendosi conto del fatto che chi è al potere deve svolgere un servizio a favore dell'intera comunità, anche a costo di provvedimenti impopolari. Ma si era nel Seicento e la impreparazione politica degli amministratori del tempo dovrebbe essere, almeno per noi, smaliziati da quattro secoli di maggiore esperienza, prevedibile.
E mentre allora, lì a Milano, c'era una certa quale ingenuità dovuta alla incapacità di tener conto con responsabilità di tutti fattori in gioco, ora abbiamo fior di economisti che potrebbero dare delle soluzioni adeguate a problemi analoghi, che, se non riguardano noi occidentali direttamente, sono però drammatici in tante parti del mondo ormai globalizzato… e ora è non è più ingenuità o dabbenaggine, è solo una questione di potere politico ed economico, non più concepito come servizio al benessere comune, ma come fine a sé stesso.
Quindi su Ferrer si può fare dell'ironia, come la fa appunto Manzoni, ma non è proprio il caso di stracciarsi le vesti.
La sua inefficienza richiede infatti l'intervento di Don Gonzalo che nomina una giunta che dovrebbe esser capace di affrontare in modo adeguato la situazione: i deputati (…) si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, non riescono a trovare altro rimedio che quello di rincarare il pane.
A questo punto basta poco perché il malcontento diffuso si trasformi nella ribellione scomposta di un popolo affamato. Assistiamo così all'assalto al forno delle grucce e allo sprovveduto intervento del Capitano di giustizia e i suoi alabardieri.
E' proprio mentre la rivolta è particolarmente virulenta, Renzo, avendo ormai sgranocchiato il suo pane, intercetta la folla impazzita che dà fuoco a tutti gli attrezzi del fornaio; e, un po' defilato, perché ancora spettatore, fa le sue riflessioni piene di buon senso: "Questa poi è una bella cosa (…) se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne' pozzi? E anche Manzoni rincara: "Veramente, la distruzione de' frullini e delle madie, al devastazion de' forni, e lo scompiglio de' fornai, non sono i mezi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva".
Renzo, che è sempre e soltanto spettatore, in attesa di essere ricevuto dal padre Bonaventura, si chiede se sia il caso di tornare al convento di porta orientale, ma poi decide di stare a guardare: "Prevalse di nuovo la curiosità".