Cap. 32 Il delirio delle unzioni

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La storia si ripete e noi non impariamo mai: quando il peso della sofferenza sembra insopportabile, invece che interrogarci sul significato del male, preferiamo prendere la tangente della ricerca delle responsabilità in modo da trovare qualche capro espiatorio che plachi il nostro bisogno di comprendere. Salvo poi ritrovarsi con un "perché" che grida dentro la coscienza e non si placa davanti a dei palliativi inutili e spesso pericolosi.
Già alla conclusione del precedente capitolo Manzoni ci aveva messo sull'avviso accennando preoccupato all'idea di venefizio e malefizio. Ora, davanti all'incapacità di affrontare il grande male, incapacità oggettiva propria dell'uomo, ecco che ci si inventa un oggetto su cui convogliare la rabbia impotente del dolore: gli untori. E la gente, piuttosto che preoccuparsi di far fronte con la solidarietà al male dilagante, preferisce andare alla ricerca di questi personaggi di pura fantasia. Ancora una volta per non guardare in faccia il dramma della sofferenza senza significato si preferisce la distrazione della ricerca di ciò che non esiste, in uno spreco sconsiderato di energie che andrebbero utilizzate nel sostegno reciproco.
Ma impareremo mai la lezione? Perché il tempo passa, ma l'uomo reagisce sempre allo stesso modo, preferendo le sue costruzioni mentali alla realtà, fino a che la realtà non dice l'ultima parola…
Acuta è senz'altro in questo capitolo l'osservazione del nostro autore, che non si lascia sfuggire l'occasione per invitarci alla riflessione: Così, ne' pubblici infortuni, e nelle lunghe perturbazioni di quel qual si sia ordine consueto, si vede sempre un aumento, una sublimazione di virtù; ma pur troppo, non manca mai insieme un aumento, e d'ordinario ben più generale, di perversità.
Gli anni che passano e le esperienze lo insegnano: sono le circostanze importanti della vita che fanno emergere quello che uno è. Uno può confondere il suo sogno di essere eroico e capace di reggere a qualsiasi sfida, con la realtà delle sue reazioni personali, spesso in netto contrasto. E il guaio è che non si è abituati a riflettere su di sé e sulla propria umanità, o per superficialità e immaturità, o perché si teme di scoprirsi fragili, impotenti, incapaci, così poco eroici…
Ma tali scoperte, perché non ne siamo travolti, possiamo farle solo davanti ad una presenza amica e misericordiosa
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Ma, se non siamo capaci di recuperare una reale autoconsapevolezza, la realtà inesorabilmente ci chiama a rispondere: a lungo andare la politica dello struzzo non regge. Ed è allora che emergono come giganti le figure eroiche di coloro che si fanno carico per quel che possono della realtà (pensiamo al cardinal Federigo, o a Padre Felice, o allo stesso Padre Cristoforo); ma si scopre, in modo altrettanto clamoroso, anche la meschinità di coloro che, scampati alla peste preferiscono, al seguito dei monatti, entrare da nemici nelle case, e, senza parlar de' rubamenti (…)costringevano gli infelici ridotti dalla peste a passar per le loro mani, e le mettevano, quelle mani infette e scellerate, sui sani, figlioli, parenti mogli, mariti, minacciando di strascinarli al lazzeretto, se non si riscattavano, o non venivano riscattati con i denari.
C'è allora da chiedersi se non sia meglio, piuttosto che sia la realtà a chiederci il rendiconto, andare alla ricerca di un significato esauriente di tutto, di un significato che corrisponda interamente alle esigenze della nostra intelligenza e volontà… perché la nostra vita sia più umana.
Perché vogliamo possedere la realtà tutta e subito, ma nel modo giusto, nel modo che non delude.