Cap. 14 - 15 Le cose si complicano per Renzo

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Con somma maestria Manzoni ci accompagna, attraverso Renzo e la sua fragile umanità, nel cuore delle vicende storiche di quell'11 novembre 1628 a Milano. Abituati come siamo a non distinguere la realtà dalla finzione, - ora che la finzione ormai sta acquisendo la dignità del vero, in un disumano stravolgimento dei valori -, non ci accorgiamo dell'operazione dell'autore, che comunque ha a cuore anche le vicende dei suoi protagonisti e cura tutto nei minimi dettagli.
In questo capitolo l'ingenuità di Renzo, che cade nelle trame del potere con totale inconsapevolezza, fa da padrona. E così lo vediamo arringare un drappello di reduci dal tumulto; lo accompagniamo trepidanti mentre un bargello, incaricato di arrestare qualche facinoroso, lo vorrebbe guidare verso un'osteria di lusso (la prigione), ma finisce per fortuna alla più modesta Osteria della luna piena; lo ascoltiamo sproloquiare in preda ai fumi della sua unica e drammatica sbornia.
Anche qui l'oste non è uno sprovveduto e riconosce subito con stizza l'odiato sbirro, mentre, conscio del fatto suo, non ci mette molto tempo a capire se Renzo sia cane o lepre… Da esperto conoscitore degli avventori, comprendendo che con la giustizia non si può scherzare, ottempera a tutte le incombenze richieste, tentando di fare il suo dovere e non cadere anche lui nelle trappole della legge.
Capiamo benissimo in questa circostanza che il problema non è la legge in sé, che potrebbe anche essere giusta, ma l'uso che ne fanno gli uomini, il cui cuore si arrende solamente alla carità. E in fondo il sedicente Ambrogio Fusella di professione spadaio, non si pone il problema troppo metafisico se Renzo sia colpevole o no: a lui basta uno da consegnare come responsabile alle autorità e poi vuole tornarsene a casa dopo aver fatto il suo dovere di bargello.
Ma anche l'oste, ormai coinvolto nella vicenda di Renzo, suo malgrado, non si pone il problema della colpevolezza o meno del nostro giovane; c'è una legge da rispettare, soprattutto in quella situazione di emergenza in cui la minima trasgressione di chi non conta verrà severamente punita, e l'oste deve andare a denunciare il povero Renzo, che con fatica è stato sistemato in un letto in preda alla sua gigantesca sbornia.
Interessante per il suo realismo il dialogo con il notaio criminale, che, abituato a trattare i mascalzoni, ha un atteggiamento sospettoso e inquisitorio, soprattutto perché l'oste, in un impeto di onestà, si limita a raccontare ciò di cui è stato testimone e non si abbassa ad accuse false.
Insomma in tutta la vicenda occorre tener presente che quel che interessa ad ogni singolo personaggio è salvaguardare il proprio interesse e la propria tranquillità. Quindi nessuno spazio per dei principi sia pur giusti, che complicherebbero la vita.
Come si vedrà se si leggono i due capitoli, Renzo, liberato dalla sbornia dopo una notte di meritato sonno, non è poi tanto ingenuo da credere al paternalismo del notaio che, volendolo arrestare senza dare nell'occhio, cerca di tenerlo a freno… Grazie alla sua astuzia contadina, approfitta della presenza di tre che venivan con visi accesi, ne attira l'attenzione e riesce a svincolarsi dai birri che lo accompagnavano, e, grazie alla confusione che si crea intorno al Corvaccio (il notaio criminale), scappa e si mette in salvo.