Cap. 33 La peste raggiunge don Rodrigo: la tragedia della solitudine

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E’ proprio vero: la tragedia più grande per un uomo è la solitudine e l’abbandono; ma la solitudine come scelta di vita, sorda a qualsiasi possibilità di incontro vero e umano con gli altri e… con il totalmente Altro; la solitudine come orgogliosa ed egoistica negazione della natura umana, fatta per la comunione.
Il Cardinale Biffi nel suo Contro Maestro Ciliegia parla del grande pericolo dell’uomo di assimilarsi all’animale, quando non si arrivi al totale mutismo della coscienza che si è cosificata, cioè assimilata alla pura materia.
Per don Rodrigo parlare di imbestiamento sarebbe… troppo generoso; mentre corrisponde a realtà la sua totale assimilazione alla materia incapace di nutrire un minimo di sentimenti umani.
Forse è per questo, forse è per ridargli un minimo di umanità che la Provvidenza, che alcuni dicono sia la protagonista del romanzo, ha deciso per lui questa spaventosa esperienza della peste, del tradimento e della solitudine più disperante.
Terribile il momento in cui il nostro signorotto scopre il sozzo bubbone di un livido paonazzo. L’uomo si vide perduto: il terror della morte l’invase, e, con un senso per avventura più forte, il terrore di diventar preda de’ monatti, d’esser portato, buttato al lazzaretto…
A chi chiedere aiuto in un simile frangente? Il più vicino, ma solo fisicamente, l’unico è Il Griso, il capo dei suoi bravi. Ecco che la totale cosificazione, sotto la pressione del terrore che raggiunge l’estremo limite della coscienza, gli fa riscoprire, in un risveglio dell’umano, il bisogno di qualcuno di cui fidarsi.
Ma è una fiducia mal riposta perché anche il Griso è della stessa pasta del padrone e si guarda bene dall’obbedirgli ora che è così impotente; anzi, spera di poter trarre profitto dalla debolezza fisica del padrone per derubarlo, senza alcuna remora neppure davanti all’ira impotente del padrone, dopo averlo consegnato proditoriamente ai monatti.
Il Griso poi farà al stessa fine del padrone: anche lui viene contagiato dalla peste e, con altrettanta crudeltà, i monatti lo spogliano di quel che ha addosso e lo buttano sul carro per portarlo al lazzaretto dove arriverà morto.
Acutamente è stato osservato che alla sua sorte Manzoni dedica pochissime righe, distaccate, quasi volesse consegnare quest’uomo, che ha tradito la fiducia di un altro uomo, alla dimenticanza totale.