Cap. 25 Don Abbondio e il cardinal Federigo
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Capitoli 25-26
Come Manzoni anche noi lettori vorremmo risparmiare al povero don Abbondio l’incontro con il Cardinale (…) per dir la verità, anche noi, con questo manoscritto davanti, con una penna in mano, (…) sentiamo una certa ripugnanza a proseguire (…), ma ci rassegniamo a farlo perché è consolante cogliere la grande possibilità del Cristianesimo che è capace di salvare qualsiasi condizione umana, dalla perfidia gratuita, al più “innocente” e meschino egoismo.
Vediamoli allora questi due personaggi antitetici a confronto.
Don Abbondio si è ormai messo l’anima in pace dopo l’ennesimo increscioso incidente della conversione dell’Innominato, che, suo malgrado, ha coinvolto anche lui mettendo a repentaglio la sua faticosamente (quanto faticosamente!) conquistata tranquillità.
Il Cardinale, in visita pastorale al suo paesello, non ha ancora fatto cenno a quei “noiosi” episodi legati a Lucia e al suo mancato matrimonio con Renzo: forse Lucia e Agnese non gli hanno riferito niente! Ma, quando meno se lo aspetta, ecco il fulmine a ciel sereno: “Signor curato; perché non avete voi unita in matrimonio quella povera Lucia col suo promesso sposo?. La cosa più divertente è la riflessione immediata del nostro don Abbondio (Hanno votato il sacco stamattina coloro [Agnese e Lucia]!) seguita immediatamente da un borbottio autogiustificatorio che sembra più che altro una chiacchierata piena di pettegolezzi scandalizzati di una comare paesana. Il Cardinale non si scompone e vuole la verità: “E’ vero che, prima di tutti codesti casi, abbiate rifiutato di celebrare il matrimonio, (…) e (…) perché”?
Il povero don Abbondio cerca di far capire al cardinale quanto sarebbe stato pericoloso per la sua incolumità celebrare quel matrimonio e lo costringe a ripetergli i contenuti della sua altissima vocazione di sacerdote. Ma lo spirito di don Abbondio si trovava tra quegli argomenti, come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, in un’aria che non ha mai respirata. E le sue riflessioni sono davvero tragicomiche: Anche questi santi son curiosi, (…) In sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita di un povero sacerdote… Come se la vita di un sacerdote fosse fine a se stessa e non fosse in funzione del regno di Dio e del Suo progetto buono per tutti gli uomini…
E pare proprio che don Abbondio stia meglio con le sue riflessioni, cui è avvezzo da sessant’anni di vita, che con i discorsi da marziano (diremmo oggi) di quell’incomprensibile santo che è il Cardinale. Ma lo capiamo benissimo: anche per lui il Cristianesimo, se non era proprio una larva come per la monaca di Monza, è sicuramente un pianeta sconosciuto ridotto a quel che l’egoismo personale, non confutato per tanti anni, ha deciso che sia: un modo per sistemarsi al riparo da pericoli troppo grossi.
Ma il Cardinale, pieno di una carità che non vuole arrendersi davanti alla testardaggine ottusa e inconsapevole del povero curato, l’incalza in modo sempre più appassionato, anche se con profondo rispetto per quell’anima così limitata; e alla fine riesce ad ottenere almeno quel che don Abbondio poteva dargli: finalmente davanti alle sue argomentazioni don Abbondio stava zitto(non borbotta nemmeno più tra sé e sé); ma non era più quel silenzio orzato e impaziente: stava zitto come uno che ha più cose da pensare che da dire. Le parole che sentiva, eran conseguenze inaspettate, applicazioni nuove, d’una dottrina antica però nella sua mente, e non contrastata. Il Male degli altri, dalla considerazione del quale l’aveva sempre distratto la paura del proprio, gli faceva ora un’impressione nuova (…) sentiva un cero dispiacere di sé, una compassione per gli altri, un misto di tenerezza e di confusione. Era (…) come lo stoppino umido e ammaccato di una candela, che presentato alla fiamma d’una gran torcia, da principio fuma, schizza, scoppietta, non ne vuole sapere nulla; ma alla fine si accende e, bene o male, brucia…
Fa quasi tenerezza questo anziano parroco che riscopre gli aspetti qualificanti del cristianesimo ormai dimenticati nelle loro essenza; ma riesce a farlo solo davanti alla presenza autorevole e paterna di un Altro che ha saputo attirare finalmente la sua attenzione… finora il suo egoismo gli aveva fatto sentire la propria incolumità fisica al centro di qualunque suo personale impegno; ora un Altro lo richiama alla bellezza e alla verità della vocazione cristiana; che si scopre non per una geniale intuizione, ma per il contatto con una realtà umana fisica, visibile e constatabile, che si fa incontro alla sua persona, non giudicandola, ma amandola pur nel suo limite: amandola per il suo destino.