Cap. 7 I punti di vista di un oste

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E' arrivato il giorno delle nozze clandestine accuratamente preparate da Renzo e da Agnese.

A Renzo spetta il compito di "rifocillare" i futuri testimoni, Tonio e Gervaso, prima della rischiosa impresa. Così li accompagna all'osteria del paese, dove - guarda caso! - si erano recati anche il bravacci di don Rodrigo in attesa del momento opportuno per raggiungere la casa di Lucia e rapirla.

Renzo naturalmente, incuriosito poiché non li ha mai visti prima, chiede notizie all'oste; ma questi, con molta diplomazia, dopo aver detto che non li conosce, svia la domanda con una dichiarazione di principio: "…la prima regola del nostro mestiere, è di non domandare i fatti degli altri (…) a noi basta che gli avventori siano galantuomini: chi siano poi, o chi non siano, non fa niente. E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete ma mangiate". Si scopre poi, per l'insistenza di Renzo che per l'oste "l'uomo si conosce all'azioni. Quelli che devono il vino senza criticarlo, che pagano subito il conto senza tirare, che non metton su lite con gli altri avventori, e se hanno una coltellata da consegnare a uno, lo vanno ad aspettar fuori e lontano dall'osteria, tanto che il povero oste non ne vada di mezzo, quelli sono i galantuomini."

Ma anche i bravi non conoscono Renzo e i suoi due amici e si informano con voce alquanto sgarbata; l'oste, tutto ossequioso, rivela il nome dei tre, pur dipingendoli come brave persone, e anche in questo caso sguscia subito perché impegnato nel servire gli avventori.

Come al solito Manzoni non si lascia sfuggire l'occasione di invitarci alla riflessione: "Il nostro autore (ricordiamo sempre che continua la finzione dell'anonimo secentesco, espediente che offre tra l'altro un elegante pretesto per le digressioni e le riflessioni del nostro autore), osservando al diverso modo che teneva costui nel soddisfare alle domande, dice ch'era un uomo così fatto, che, in tutti i discorsi, faceva professione di esser molto amico de' galantuomini in generale; ma, in atto pratico, usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianze di birboni. Che carattere singolare, eh?

Come al solito, l'osservazione di Manzoni è un discreto invito alla riflessione.

Vedremo anche in seguito altri due osti che conoscono bene il loro mestiere ed usano diversi pesi e diverse misure a seconda degli interlocutori; o quanto meno hanno l'occhio ben vigile e in grado di capire chi hanno di fronte. Certamente, chi è abituato a trattare con le più disparate persone, deve pur adottare un criterio che permetta di "sopravvivere" con il minor danno possibile. Però quella conclusione (Che carattere singolare, eh?) sembra voler essere una contestazione di questo atteggiamento così poco limpido.

Ma probabilmente quel che l'autore non approva non è tanto la diversità di comportamento dell'oste nei confronti di Renzo e dei bravi, quanto l'ostentazione dell'oste che faceva professione di esser molto amico dei galantuomini in generale; ma, in atto pratico, usava maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianze di birboni.

C'è evidentemente alla base del comportamento di questo oste non tanto il semplice desiderio di non aver noie, quanto piuttosto una certa connivenza coi birboni e una fondamentale disinteresse per la sorte dei deboli malcapitati di turno. Questo è assolutamente da rilevare come atteggiamento ambiguo e non accettabile, e Manzoni non si lascia sfuggire l'occasione…