Cap. 10 Riflessioni su un destino tradito

Autore:
Pinna, Maria Vittoria
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

E’ sempre più doloroso e quasi insopportabile ripercorrere con il Manzoni la tragica vicenda della Monaca di Monza, soprattutto se si dimentica, o non si sa, che tutto questo male ricevuto e fatto, nella storia vera del personaggio (che, al contrario di altri, non è di pura invenzione), è stato riscattato dagli ultimi anni di vita vissuti in volontaria espiazione.
Ma per addentrarsi nella vicenda e trarne un qualche motivo di riflessione affrontiamo il capitolo decimo.
Ripugnante ci si presenta il principe (anche Manzoni si rifiuta di chiamarlo padre) quando abusa, davanti a Gertrude adolescente, di uno di quei momenti, che si dovrebbero guardare con timido rispetto e invece diventano nella fattispecie quelli appunto che l’astuzia interessata spia attentamente e coglie di volo, per legare una volontà che non si guarda.
Senza andare oltre nel riassumere gli eventi così dettagliatamente narrati dall’autore, vorrei sottolineare questo aspetto dell’astuzia dei potenti, o meglio dei prepotenti, che, istintivamente, abusano dell’ingenuità e dell’innocenza che non sanno di doversi difendere. E viviamo purtroppo in un momento (ma forse è sempre stato così, da che mondo è mondo!) in cui la fiducia, l’apertura naturale verso l’altro, il desiderio di amicizia sono continuamente traditi da approfittatori o da falsi profeti; e un uomo, non solo un cristiano, dovrebbe sviluppare al massimo le sue capacità nel campo della conoscenza morale, per poter comprendere quali sono le persone di cui ci si può fidare… Credo proprio che sia giunto il momento di rivalutare la cristiana “prudenza” che è una “virtù cardinale”.
Insostenibile continua ad essere la vicenda di Gertrude, che, in un’altalena umiliante di decisioni e di ripensamenti, è totalmente sola davanti ai suoi sentimenti, che la dilaniano: sembra un animaletto ferito e inconsapevole di sé… e in fondo lo è.
Gertrude contristata, indispettita e, nello stesso tempo, un po’ gonfiata da tutti que’ complimenti, si rammentò in quel punto ciò che aveva patito dalla sua carceriera; e, vedendo il padre così disposto a compiacerla (…) volle approfittare dell’auge in cui si trovava, per acquietare almeno una delle passioni che la tormentavano…” . Che tristezza! Essere costretta ad accontentarsi di acquietare almeno una delle passioni, e la peggiore, cioè il desiderio di vendetta, che, realizzato, avrà davvero poco sugo. Così quel desiderio di libertà, che in fondo era desiderio di felicità e di compimento, deve “accontentarsi” di una magra vendetta…
C’è un altro punto che merita la nostra attenzione di lettori: la dipendenza totale della ragazza dal padre. Dove si vede che il rapporto di figliolanza è proprio costitutivo della persona, e nessuno può vivere senza una figura paterna cui far riferimento, anche se il padre è il principe descritto dal Manzoni.
La nostra infelice non ha conosciuto nella vita altro padre se non quest’uomo, unicamente preoccupato di salvaguardare il proprio patrimonio, e non può fare a meno di dipenderne: “E quegli occhi governavano le sue mosse e il suo volto, come per mezzo di redini invisibili”; e addirittura prova un senso di sollievo quando si accorge che è soddisfattissimo di lei, solo perché si è piegata alla di lui volontà.
Ma anche questo padre, in fondo vittima anch’egli delle consuetudini, ha un momento di verità in tutta la vicenda; quando, a caso, incontra il vicario delle monache soddisfatto dell’esame cui aveva sottoposto Gertrude per verificarne la vocazione, per un momento ha un atteggiamento di sollievo, che trasforma in lodi, carezze e promesse per la giovane figlia. Il suo era un giubilo cordiale, una tenerezza in gran parte sincera… e Manzoni conclude con quel proverbiale: “ Così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano”.
Un’ultima, doverosa riflessione si impone ed è quella che Manzoni stesso diffusamente ci propone e sulla quale non si mediterà mai abbastanza: “E’ una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato c’è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c’è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch’è stato intrapreso per leggerezza; piega l’animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione. E’ una strada così fatta che, da qualunque labirinto, da qualunque precipizio, l’uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d’allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine. Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta”. Il Cristianesimo è così.