Cap. 7 La fede di Padre Cristoforo e di Lucia
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Reduce dal tempestoso colloquio con don Rodrigo, il nostro padre Cristoforo, che ha saputo subire, senza minimamente reagire, tutte le villanie del signorotto, torna a casa di Lucia per informarla dell'esito della missione. Le sue parole sono semplici e mirano unicamente ad un conforto e ad una reazione dignitosa: "Non c'è nulla da sperare dall'uomo; tanto più bisogna confidare in Dio: e già ho qualche pegno della sua protezione". E, davanti alle richieste di Renzo che vorrebbe sapere almeno le ragioni di quel cane, ci stupisce la sua amorevole pacatezza: "se il potente che vuol commettere l'ingiustizia fosse sempre obbligato a dir le sue ragioni, le cose non andrebbero come vanno"; e poco dopo lo sentiamo dire: "Le sue parole, io l'ho sentite, e non te le saprei ripetere. Le parole dell'iniquo che è forte, penetrano e sfuggono. Può adirarsi che tu mostri sospetto di lui, e nello stesso tempo, farti sentire che quello che tu sospetti è certo: può insultare e sentirsi offeso, schernire, e chieder ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile. Non chieder più in là…"
E' davvero quasi incomprensibile per noi la fede, l'onestà e la fermezza di padre Cristoforo. Non vi è in lui alcun cenno al disappunto o incoraggiamento alla ribellione che anche il lettore potrebbe provare: semplicemente prende atto di quella che è la posizione di don Rodrigo, descritta con quei pochi efficaci cenni che non mirano a nascondere la sua impotenza, ma mostrano una sorta di pietà per il malvagio che sa esprimersi solo con la prepotenza menzognera. Non si limita a questo però: per farli partecipi completamente degli elementi che possano far rinascere la speranza, comunica di avere un filo, quel filo di speranza appunto che gli è venuta dal vecchio servitore della casa del signorotto. Questo è il motivo per cui non si arrende e invita i suoi protetti a non arrendersi. Pazienza! - dice a Renzo - E' una parola magra, una parola amara, per chi non crede: ma tu…! Non vorrai tu concedere a Dio, un giorno, due giorni, il tempo che vorrà prendere , per far trionfare la giustizia? Il tempo è suo; e ce n'ha promesso tanto! Lascia fare a Lui…": sembrano solo parole, le solite parole che deve dire il prete; ma si capisce subito che nascono da un profondo convincimento e da una esperienza di anni di vita religiosa.
Invita alla pazienza: ma come si fa ad essere pazienti in un mondo che vuole tutto e subito? Senza alcun sacrificio?
Acutamente osservava qualcuno che il primo attributo con cui San Paolo, che non diceva nulla a caso, definisce la carità è appunto: la carità è paziente… (1 Cor 13).
Altrettanto acutamente è stato osservato che non esiste gesto vero, bello, giusto, se non nasce dal sacrificio, che, nel suo significato più vero, è sacrum facere (fare una cosa sacra).
E non occorrerebbe essere cristiani per comprenderlo se solo prendessimo in considerazione con serietà qualunque esperienza umana gratificante: essa è sempre l'esperienza della soddisfazione, della gioia, della risurrezione, dopo la difficoltà e dopo l'inevitabile sacrificio.
In tutta questa serietà cristiana che non censura nulla del male con cui si deve fare i conti, ma lo guarda con dolore, ma anche con realismo, la sola che accoglie con fiducia le parole di padre Cristoforo è Lucia. In fondo essa è l'unica che si sia lasciata docilmente educare al cristianesimo come modalità di vivere la vita, e quindi non trova strane e ingenue le speranze del padre spirituale; e, sia pure con un probabile disappunto, cui Manzoni non fa cenno anche se in seguito si chiederà cosa le passa veramente nel cuore, aderisce a quel tenue filo di speranza.