Cap. 28 Gli effetti della carestia

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Quella penuria di viveri che aveva scatenato i tumulti di san martino a Milano, assume le dimensioni tragiche della carestia, che non risparmia nessuno. Gli accattoni di mestiere non hanno più l’esclusiva: la piazza è loro contesa da ogni sorta di persone, operai, maestri d’ogni mestiere e d’ogni arte, servitori licenziati dai padroni, bambini, donne, vecchi, addirittura anche quelli che erano stati bravi e che domati dalla fame, non gareggiando con gli altri che di preghiere, spauriti, incantati, si strascinavan per le strade che avevan per tanto tempo passeggiate a testa alta(…) vestiti di livree ricche e bizzarre.
In mezzo a tutto questo doloroso sfacelo, consola la carità ardente e versatile del cardinal Federigo che si adopera in ogni modo per tentare di lenire le sofferenze degli affamati.
La descrizione che il Manzoni fa della carestia e dei suoi effetti ha un doloroso crescendo che culminerà nell’indicibile orrore della peste; ma quel che è interessante sottolineare è senz’altro la riflessione che l’autore non fa mancare: ma noi uomini siamo in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati, ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevano chiamato insopportabile.
E’ difficile comprendere tale affermazione per coloro che non siano stati toccati da un male estremo, come quello della fame; però è proprio vero che finché abbiamo un minimo di energie fisiche siamo anche combattivi e lottiamo. Quando poi anche le energie o le capacità per un qualsiasi motivo vengono meno, quando sperimentiamo la nostra totale impotenza, forse riusciamo anche a sopportare, ma certamente non con rassegnazione, perché, se ne avessimo la forza, urleremmo ancora la nostra ribellione.
Ma per quale motivo devono accaderci delle situazioni così tragiche che, sole, ci costringono a prender coscienza della nostra nullità? Perché è necessario sperimentare così il nostro limite? Non sarà forse perché Qualcun Altro vuole che ci rendiamo conto che non siamo noi i padroni della nostra vita?
In realtà, possono ritenersi fortunati coloro che per grazia arrivano a capire e riconoscere che tutto è dato, dalla vita alla salute, dalla capacità di essere autosufficienti alla possibilità di trovare qualcuno che ci voglia bene.
Perché l’uomo, che gli piaccia o no, non si è fatto e non si fa da sé: è creatura, è dipendente da un Creatore che ha dato Suo Figlio per lui, e la cosa più intelligente che possa fare è riconoscerlo con gratitudine: solo così infatti si riesce ad affrontare in modo dignitoso e pienamente umano quel che sembra insopportabile.