Cap. 22 L’Innominato e la realtà, inesorabile amica

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Dopo la sua notte d'angoscia, l'Innominato, che nonostante il suo isolamento non è una monade, ma vive e guarda la realtà che è sempre nostra alleata, prende la decisione di incontrare anche lui quell'uomo che tutto il popolo voleva andare a salutare.
Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! E però ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. (…) ma cos'ha quell'uomo per render tanta gente allegra? Qualche soldo che distribuirò così alla ventura… Ma costoro non vanno tutti per l'elemosina (…)Oh, se le avesse per me le parole che possono consolare! (…) Perché non vado anch'io? Perché no?... anderò, anderò; e gli voglio parlare.
Dicevo che la realtà è sempre nostra alleata. Se non ci fosse qualcosa di esterno a noi, la realtà appunto che ci richiama, resteremmo chiusi negli arzigogoli del nostro cuore inquieto o pigro.


Tra i numerosi pregi di questo personaggio eccezionale, c'è senz'altro la lucidità che sa guardare non solo dentro il suo cuore, ma anche intorno a sé.
Sa benissimo qual è il valore che la gente dà al denaro e sa anche che in quella gioia così genuina non può esserci una motivazione limitata solo a qualche spicciolo distribuito così alla ventura….
C'è da chiedersi come quest'uomo sia riuscito in tanti anni di nefandezze a mantenere la sua intelligenza così lucida da sapersi arrendere all'inesorabilità di un fatto, anche se il fatto si presenta come una folla variopinta e allegra, che non ha nulla da offrire o mostrare se non una gioia invidiabile per il suo cuore dilaniato.
C'è una pagina potente di Bernanos, tratta dal Diario di un curato di campagna, che forse potrebbe spiegare come questo cuore grande non è rimasto obnubilato dalla cattiveria. Si tratta di una possibile risposta e la propongo: "Destino di molti preti più zelanti che saggi è supporre la malafede (…). Non sarebbe più giusto dire: la purezza non ci è prescritta come un castigo, è invece una delle condizioni misteriose ma evidenti – l'esperienza lo attesta – di quella conoscenza soprannaturale di se stessi, di se stessi in Dio, che si chiama la fede. L'impurità non distrugge questa conoscenza, ma ne annulla il bisogno. Non si crede più perché non si desidera credere. Non desiderate più conoscervi. Questa verità profonda, la vostra, non vi interessa più.(…) Non si possiede veramente che ciò che si desidera. (…) Non vi desiderate più. Non desiderate più la vostra gioia. Non potevate amarvi che in Dio, non vi amerete più. (pag. 142,143 dell'edizione Oscar Mondatori, 1984).
In tutta la sua malvagità gratuita l'Innominato ha saputo mantenersi casto, forse solo per temperamento; ma questo gli ha conservato quella lucidità che gli ha permesso di individuare il suo ardente desiderio di salvezza…
Lo stesso sant'Agostino, nelle Confessioni parla in modo sconvolgente della lotta che gli è stata necessaria per arrendersi a quel Dio di cui riconosceva intellettualmente la Verità, la Bontà, la Bellezza (consiglio la lettura del cap.8) e quel che lo tratteneva era l'attaccamento dei sensi alla donna che amava (alla quale comunque è rimasto fedele finché era sua compagna) e solo l'intervento della grazia ha potuto sorreggere la sua fragile libertà.


Ciò per dire che se un'anima desidera veramente la sua salvezza, la sua felicità, non vi sono ostacoli all'intervento di Dio che può tutto, anche contro il nostro male; e si serve, per raggiungerci, della realtà, che non è buona o cattiva secondo il nostro stato d'animo: ma è sempre buona e amica perché strumento della provvidenza di Dio per raggiungere il nostro cuore, se solo manteniamo vivo il nostro sguardo.