Cap. 20 La grandezza dell’innominato (o della serietà della vita)

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Come don Rodrigo, anche l'Innominato, personaggio di ben altra levatura, viene inserito nella sua cornice naturale, il castellaccio dall'alto del quale come l'aquila dal suo nido insanguinato (…) dominava all'intorno tutto lo spazio dove piede d'uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto. Il che coincide con il suo carattere che vuol essere al di sopra di tutto e di tutti.
Il silenzio e la solitudine la fanno da padroni, ma non vi è nulla di opprimente come accadeva per il palazzotto del mediocre don Rodrigo… Certo, tutto reca il sigillo di un odioso padrone, ma di un padrone che ama respirare a pieni polmoni la sua libertà sfrenata ed anarchica. Unica nota originale è l'osteria con una vecchia insegna che pendeva sopra l'uscio e nella quale era dipinto da tutt'e due le parti un sole raggiante; ma in sintonia con l'ambiente alquanto inquietante, la vox populi chiamava la taverna col nome della Malanotte.


Descritta la cornice, Manzoni passa a delinearci il personaggio: non penso sia possibile sostituirsi all'autore nella presentazione di quest'uomo, nell'animo del quale, qualcosa, come un tarlo, da qualche tempo ha iniziato la sua lenta opera di … distruzione (in vista di una inimmaginabile rinascita, però).
Si tratta di uno dei capitoli più intensi e drammatici che segna l'inizio di un percorso lancinante che culminerà nella conversione: in esso è messa a nudo un'anima. Un'anima e la lotta sconvolgente che in essa si attua tra il nulla e il Mistero… perché il nulla divora, consuma, dilania senza proporre alternative.
Ma Dio è buono e dal nulla ci ripesca tutte le volte che ci lasciamo da esso ghermire. E felice è colui che ha la libertà di guardare con coraggio fino in fondo questo nulla per conoscere bene l'avversario dal quale solo un misterioso Altro potrà liberarlo. Manzoni lo sa forse perché anche lui, a detta di alcuni critici, avrebbe vissuto il travaglio della conversione, e non teme di scandagliare i recessi di quest'anima, grande perché ha preso sul serio la sua vita, anche nel male.
Ma vediamo come avviene la spaventosa lotta tra il nulla e… lo smarrimento di chi vorrebbe sfuggirgli ma non sa come.
Il primo segno esterno che solo l'autore coglie si può ravvisare in quell'affrettato consenso alla richiesta fastidiosa di don Rodrigo, per timore che il suo travaglio interiore si manifesti a causa di una qualche titubanza.
Ma, una volta congedato don Rodrigo, appena rimase solo, l'ormai sessantenne Innominato si trovò, non dirò pentito, ma indispettito d'averla data. Sì, perché da un po' di tempo una cert'uggia delle sue scelleratezze lo rendeva inquieto: una certa ripugnanza provata ne' primi delitti, e vinta poi, e scomparsa quasi affatto, tornava ora a farsi sentire…

Ma ritengo molto più interessante una lettura personale della descrizione potente del travaglio interiore del personaggio ed invito vivacemente a farla.
Mi limito soltanto a qualche osservazione relativa ad alcuni aspetti interessanti.
Per esempio: che volto ha l'inquietudine dilaniante dell'innominato? Il volto più drammatico è quello della morte: non … la morte minacciata da un avversario mortale anche lui; non si poteva respingerla con armi migliori, e con braccio più pronto come contro un avversario normale; veniva sola, nasceva di dentro; era forse ancor lontana, ma faceva un passo ogni momento.
Accanto alla morte l'idea confusa, ma terribile, di un giudizio individuale che ora la coscienza gli mostrava come ineluttabile.
C'era poi il sentimento di una solitudine tremenda: la solitudine senza illusioni di un'anima che anela a Dio senza saperlo.
E infine quella voce inesorabile di Dio, troppo a lungo ignorata, che vuole farsi largo nel suo cuore: Io sono però.
Inizialmente il nostro tenta di mascherare questa imprevista inquietudine con l'apparenze di una più cupa ferocia. Ma alla fine dovrà cedere ad una forza più potente, che saprà abbracciarlo, nonostante lui.


Concludo questa prima serie di riflessioni relative al ventesimo capitolo soffermandomi un momento su Lucia, che, impotente davanti al rapimento di cui è fatta oggetto, si rivolse a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini, e può, quando voglia intenerire i più duri. Per il momento le sue suppliche non hanno smosso il Nibbio, però la sua preghiera sarà misteriosamente esaudita al momento opportuno.
Intanto quello spiraglio nel cuore dell'Innominato che lascia spazio alla voce potente che dice Io sono però, resta aperto per un primo no imperioso davanti al proposito di sbarazzarsi al più presto di quella fanciulla così fastidiosa per la sua coscienza.