Cap. 2 Cosa può dire Renzo ai nostri adolescenti?
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"Il primo svegliarsi, dopo una sciagura e un impiccio, è un momento molto amaro" che "sgarbatamente" costringe a fare i conti con la dura realtà.
Questa è l'imbarazzante sorte del vecchio parroco, che ha passato gran parte della notte ad architettare un piano, almeno passabile, per fronteggiare il nuovo nemico; che - si badi bene - non è il famigerato Don Rodrigo, la cui potenza e prepotenza lo esclude automaticamente dal novero di coloro dai quali ci si deve difendere, ma il giovane ventenne Renzo che come vedremo non ha alcun motivo o intenzione di avversare don Abbondio.
La bonomia di Manzoni del primo capitolo nei confronti di Don Abbondio, diventa affettuosa e paterna simpatia nei confronti del giovane Renzo "fotografato" nella sua "lieta furia di un uomo di vent'anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama", e "con quella cert'aria di festa e nello stesso tempo di braveria…".
Anche in questo capitolo assistiamo all'incontro-scontro tra due posizioni che per la loro diversità si esaltano a vicenda facendo emergere, con un gradevole candore, il temperamento dei personaggi.
La posizione di Don Abbondio, date le premesse del capitolo precedente, è quasi prevedibile perché, pienamente coerente col desiderio fondamentale di salvare la pelle anche contro le legittime esigenze del giovane e irruente Renzo, si mostra sfuggente e misterioso e, naturalmente, difficilmente sopportabile dall'interlocutore.
Quel che diverte maggiormente nel gioco psicologico delle due posizioni contrapposte è il maldestro atteggiamento di difesa del vecchio parroco, che non sfugge all'intuizione del giovane sposo. Quest'ultimo non conoscerà il latinorum, però sa quel che vuole e non fa difficoltà a considerare sospetti i pretesti di Don Abbondio; e, non avendo elementi sufficienti per conoscere la verità che il parroco gli nasconde, si congeda con una promessa, fatta suo malgrado, e con "un'occhiata più espressiva che riverente".
Ma intanto, mentre si allontana dalla canonica, ripensa con perplessità stizzita a quei due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre scappando qua e là…
Interrompe le sue rimuginazioni l'incontro "casuale" con Perpetua che non riesce ad evitare di tradire il "terribile" segreto che don Abbondio è stato costretto a rivelarle e protesta di non sapere niente e "quando non so niente, è come avessi giurato di tacere".
Gustosissimo è il dialogo concitato, immediatamente successivo, tra Renzo, tornato da don Abbondio per avere chiarificazioni, e il vecchio parroco. In questo dialogo Manzoni lascia che siano i personaggi stessi ad agire e parlare e si limita a registrarne le colorite e realistiche reazioni.
La conclusione del serrato "scontro" tra i due segna l'inizio del dramma anche per il giovane Renzo, che non avendo ancora avuto il tempo di mettere a fuoco la nuova situazione, si limita ad un enigmatico e preoccupante "posso aver fallato" davanti a don Abbondio, che, ovviamente non può esserne rassicurato.
Subito dopo il giovane prende la via di casa e mentre cammina ripensa tormentosamente a quanto successo, "con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile": naturalmente sono mille i pensieri che gli passano per il capo e Manzoni li registra con fedeltà e distacco sia pure affettuoso.
Ma a un certo punto ecco gli balena in mente "E Lucia?". Al ricordo dell'amata, la prospettiva cambia: "I migliori pensieri, cui era avvezza la mente di Renzo, v'entrarono in folla"… anche se subito dopo intervengono le complicazioni, perché tutti i progetti buoni sono stati improvvisamente sconvolti.
Colpisce nell'episodio l'atteggiamento positivo e deciso di Renzo e viene spontaneo paragonarlo a quello dei nostri giovani: sono essi altrettanto spontanei e insieme capaci di tener conto dei vari fattori in gioco?
Cosa penseranno i nostri adolescenti che si accostano per la prima volta al capolavoro manzoniano della lieta furia (pienamente legittima) di Renzo che non ha altra preoccupazione che di pensare al matrimonio?
Ma forse più che del matrimonio in sé, che in genere non interessa ai nostri giovani lettori, ciò che deve essere sottoposto alla loro attenzione è l'atteggiamento di Renzo davanti alla difficoltà. Le sue reazioni le conosceremo andando avanti nella lettura; ma, perché siano queste e non altre, può essere un motivo di riflessione stimolante.
Certo ci sono ancora dei giovani fiduciosi (non molti) e capaci di guardare alle difficoltà della vita non come alla fine del mondo, ma come circostanze in cui occorre "rimboccarsi le maniche" e operare per modificarle, se possibile, a loro favore. Ma ciò presume una visione positiva della realtà che è molto difficile trovare in un mondo in cui prevale il nichilismo a tutti i livelli.
Normalmente i nostri giovani, non essendo stati educati a guardare la realtà in tutti i suoi fattori, sono in balia dell'istintività e della violenza; violenza (nel miglior caso solo verbale) contro chi li ostacola o (drammaticamente) contro se stessi, in un autolesionismo che tarpa loro le ali.
In tale contesto culturale, di cui non sono consapevoli (sfortunati - diceva un famoso scrittore - perché non possono rimpiangere quello che non hanno mai avuto!) l'esempio di Renzo, della sua spontaneità controllata dalla educazione di una società che poteva non dare le nozioni elementari ma indispensabili almeno per noi (vedremo che Renzo a malapena sa leggere e non sa affatto scrivere!), però sapeva insegnare a vivere, può essere uno spunto per farli riflettere sul bisogno di significato per la loro vita.
Un'altra osservazione si impone: la prepotenza cui è stato sottoposto questo ventenne è davvero insostenibile e Renzo è legittimamente sconvolto; ma, in tutto il tumulto dei pensieri di vendetta, il solo riaffiorare alla memoria del nome di Lucia, l'amata, tutto diventa più dolce e la sua fondamentale onestà, che si rallegra di non aver tradito, riemerge per un attimo consolante. C'è allora da chiedersi: quanti dei nostri giovani riescono a vedere nel partner il dono di una presenza affettuosa, che illumina di gioia e di positività il cuore, e con la quale affrontare con fiducia un'intera vita? O non sono invece consegnati al "carpe diem" che frantuma le loro vite in attimi di totale dimenticanza o di doloroso non senso? E quanti sarebbero capaci, in tanto tumulto di sentimenti, di fermarsi, anche solo per un attimo, a "gustare" la dolcezza di un rapporto pieno di tenerezza, di fiducia reciproca, costruita con affezione in vista di un rapporto stabile e responsabile?
Davanti a questa totale dissonanza di sentimenti e di capacità di approccio con la realtà mi pare sia utile invitare i giovani a prenderne atto e a vagliare le proposte esistenziali che possano colmare il loro bisogno di significato per la vita.