Cap. 19 Due potestà, due canizie

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Gradevolissimo è il modo con cui Manzoni mette di fronte il Conte zio e il Padre Provinciale, due potestà, due canizie…due anziani navigati ed espertissimi di diplomazia.
Naturalmente l’astuto Attilio, cugino di don Rodrigo, conosce assai bene la prosopopea dello zio e per non turbarne il ridicolo sussiego si limita a qualche suggerimento al momento giusto, per poi protestare la sua fiducia incondizionata nella lungimiranza dell’anziano parente.
Il diciannovesimo capitolo si apre appunto sulle riflessioni del conte zio, che si ritrova a dover risolvere i problemi dello scapestrato nipote, don Rodrigo, in quella guerra pur troppo aperta nella quale era coinvolto uno del suo nome, un suo nipote.
C’è da dire che le sue riflessioni rivelano l’astuzia e il calcolo di uno che ha saputo raggiungere la carica di magistrato nel Consiglio segreto del governatore di Milano e che sa far valere la propria posizione. E il suo parlare ambiguo, il suo tacere significativo, il suo lusingare senza promettere (Cap.18) ormai collaudati da una continua pratica, certamente avrebbero avuto la loro efficacia nell’intervento che si apprestava a compiere. Perché se non si poteva placare i bollenti spiriti del nipote, si poteva però intervenire ed azzerare l’ostacolo più grosso, Padre Cristoforo.
E chi avrebbe potuto rendere inoffensivo l’ardente Cappuccino? Naturalmente il Padre provinciale.
Ecco dunque l’incontro tra le due potestà.
Gustosissimo è l’apparato per accogliere a pranzo il padre provinciale: tutto è organizzato in modo da suggerire l’idea della superiorità e della potenza. E anche la conversazione guidata dal Conte zio davanti ad una serie di commensali che, cominciando dalla minestra a dir di sì, con la bocca, con gli occhi, con gli orecchi, con tutta la testa, con tutto il corpo, con tutta l’anima, alle frutte v’avevan ridotto un uomo a non ricordarsi più come si facesse a dir di no, verte su argomenti di alta politica internazionale nei quali il vecchio conte può vantare un ruolo significativo… Ma si tratta solo di un’aulica premessa per arrivare al dunque: il problema di padre Cristoforo, che è un uomo… un po’ amico dei contrasti e addirittura ha osato proteggere uno scapestrato come Renzo, e che sarebbe bene allontanare dal convento di Pescarenico, magari mandandolo come predicatore a Rimini.
Ma è meglio leggere direttamente il dialogo tra i due che è davvero un capolavoro di arguzia del Manzoni, che sa ben rilevare le debolezze (perché in fondo si tratta di debolezze guardate con ironica benevolenza) di due anziani potentati che debbono risolvere i problemucci dei loro protetti.
In tutta questa vicenda naturalmente chi avrà la meglio sarà il Conte zio, riuscendo perfettamente nel suo intento di togliere ogni ostacolo al capriccio dello scapestrato nipote.


E viene spontanea una riflessione: chi paga sono sempre i più deboli; ma non è una amara constatazione se si pensa che Dio sceglie ciò che è debole per confondere chi si crede forte. Certo è difficile da accettare, anzi umanamente insopportabile. Ma normalmente i deboli non sono pienamente coscienti della loro debolezza, subiscono o con rabbia e disperazione, ma cercano di reagire in un modo o nell’altro; e la misericordia di Dio supplisce portando tutto a buon fine e realizzando il suo progetto di Bene sempre e comunque. Oppure, se quel che li anima è la fede, - ma si tratta di casi rari e comunque poco conosciuti – la grande contraddizione diventa motivo perché la loro disperazione si trasformi in speranza in un Dio che, solo, li può salvare. E il giogo diventa allora soave e leggero, anche se il dolore non viene loro tolto; ma questo è il paradosso cristiano: la pace nel dolore. Ed è questo ciò cui siamo chiamati, perché non esiste salvezza e risurrezione senza croce e morte.