Stanislao Lyonnet , Libertà cristiana e nuova legge

Ho ritrovato questo piccolo libro su un tema grandioso, che ai tempi di Gioventù Studentesca era tra i libri consigliati. Testo importante, stampato nel 1963, certo di non facile lettura, almeno per uno come me che allora frequentava i primi anni del liceo.
Ne trascrivo la bella introduzione, nella speranza che chi lo possiede ancora possa riprenderne la lettura
Fonte:
CulturaCattolica.it

Libertà cristiana e nuova legge

Tutti i libri che compaiono pretendono di essere una novità. Anche questo, naturalmente, ha la stessa pretesa, ma bisogna dirne le ragioni, poiché potrebbe sembrare strano presentare come «nuovo» il pensiero di S. Paolo, di 1900 anni fa. (Il maggior pregio dell’«opera breve» di P. Lyonnet è infatti di presentare il pensiero dell’Apostolo con grandissima fedeltà e con una nitidezza che lo rende a tutti accessibile).

La prima ragione è che il messaggio cristiano, che S. Paolo porta sino a noi con il suo slancio incontenibile, è sempre nuovo.
Nuovo, innanzitutto, perché diverso, anzi in contrasto con la mentalità regnante nel «mondo». Nuovo e perfino strano appare il cristianesimo a chi ragiona soltanto secondo i criteri di un proprio attaccamento ad una particolare tradizione o secondo gli schemi di una propria mentalità. «Scandalo per gli Ebrei, follia per i Greci» è apparso al suo sorgere il cristianesimo; ma ancor oggi non cessa di essere «scandalo» o «follia» per molti il cristianesimo autentico (giacché quello sceso a compromessi con il mondo non scandalizza più e gode anzi, spesso, di buona reputazione presso gli uomini).
Nuovo anche perché integro e pieno, come una realtà cui il tempo non ha inflitto neppure una scalfittura, che anzi nel tempo manifesta sempre più lo splendore della propria bellezza e la consistenza del proprio valore. E se ne comprende il perché. Perché la legge nuova, il rapporto nuovo tra Dio e l’uomo che Cristo ha inaugurato, è quello definitivo ed eterno, è quello perfetto e completo. Il tempo perciò, la storia e la vita, non fanno altro che rivelarlo a poco a poco, ed ogni manifestazione di questa realtà non può dare che una continua impressione di novità, di freschezza, di originalità. «Vi siete spogliati dell’uomo vecchio e delle sue abitudini, e avete rivestito il nuovo, quello che s’incammina verso la conoscenza vera, rinnovandosi ad immagine del suo Creatore» (Col. 3, 9-10).

Certo questa novità non appare sempre a prima vista e perfino il cristiano può esser tentato, in taluni momenti, di considerare la sua fede come una cosa vecchia, quasi sorpassata. Ma è una tentazione, ed insieme un giudizio estremamente superficiale. Una considerazione serena e attenta della storia non può lasciare impressionati che in tutt’altro modo, oggi più che mai. «Si è dovuto attendere il ventesimo secolo perché l’accordo tra il Vangelo e l’esperienza avesse tutto il suo peso. Finora, il mondo dei documenti era inesplorato, come il globo prima dei «conquistadores». Si poteva sempre supporre che la saggezza orientale, l’Egitto, la Cina, l’India ci avrebbero portato una saggezza superiore. Si poteva anche sperare che la riflessione razionalista sulla scienza, o un tipo nuovo di santità laica e disperata, sarebbe apparso e si sarebbe imposto all’uomo, dando al Vangelo il carattere di una cosa trascorsa, sorpassata, o semplicemente quello di un’avventura incomprensibile, di una regola inassimilabile, di un sogno, ebraico o ellenistico che non ha più senso oramai, di una umanità credente senza rapporto con la nostra. Occorreva l’opera di tre generazioni perché i testi più perfetti delle altre religioni fossero inventariati. E bisognava anche che la saggezza laica, l’ideale razionalista, l’ateismo umanitario avessero avuto il tempo e l’opportunità di far sorgere i modelli di una umanità finalmente liberata dalle superstizioni. Il tempo è passato. L’osservatore imparziale non può dire che questa saggezza sia prossima né che le condizioni dell’avvento di un superuomo o di una umanità nuova siano preparate» (Jean Guitton).
Se il cristianesimo è dunque, di natura sua, nuovo, occorre richiamarsi continuamente questa novità ed esserne sempre consapevoli. Altrimenti si svilisce la propria adesione cristiana, la propria fede; le si toglie ciò che ha di suo, di originale.

Il libro di Lyonnet che presentiamo è certamente efficace a richiamare la novità del cristianesimo: sia perché insiste su ciò che differenzia la legge «nuova» dall’antica, la mentalità cristiana da quella prevalente nell’ambiente ebraico in cui pure essa è sorta; sia perché fa leva su di un punto, quello della libertà, sul quale il cristianesimo proprio oggi è messo sotto accusa come se fosse legato al vecchio, al sorpassato, a posizioni reazionarie addirittura.
L’accusa potrebbe apparire strana a chi conosca, anche poco, la storia dell’affermazione del cristianesimo nel mondo. Mentre oggi si nega, da parte di molte e importanti correnti del pensiero e della vita, che il cristianesimo fondi e promuova l’autentica libertà dell’uomo, l’apparire della religione cristiana fu salutato proprio come una liberazione.
Il popolo ebreo attendeva un liberatore e l’annuncio della nascita di Gesù suscita gioia in «tutti coloro che attendevano la liberazione di Gerusalemme» (Lc. 2,38), perché «il Signore Iddio ha visitato e liberato il suo popolo» (Lc. 1, 68). Coloro che seguivano Gesù speravano che liberasse Israele (cfr. Lc. 24, 21). Gesù stesso si presenta come il liberatore che adempie la profezia di Isaia: «Dio mi ha mandato ad annunciare la liberazione ai prigionieri ed a rendere la libertà agli oppressi» (Lc. 4, 18; cfr. Is. 61, 1).
Non c’è bisogno di anticipare nulla su S. Paolo, poiché ne parla il resto del volume ma è chiarissimo per lui che la vocazione cristiana è una vocazione alla libertà. Ed
è così chiara la sua affermazione che molti suoi compatrioti ne trassero motivo di scandalo, non volendo lasciare la Legge mosaica, che pure non poteva non essere sentita come un giogo in confronto alla legge del Cristo.
Anche nel mondo greco, dominato da una concezione dell’uomo che lo voleva sottomesso ad un Fato cieco e irrazionale, l’annuncio cristiano apparve come annuncio di libertà. Si noti bene: non come annuncio di una liberazione sociale e politica (come, in qualche misura si attendevano tutti gli Ebrei), ma come proclamazione di una libertà più profonda, ontologica, cioè di tutto l’essere dell’uomo.
In questa libertà si vide il fondamento della dignità dell’uomo e la sua somiglianza con Dio. S. Gregorio di Nissa, uno dei grandi Padri della Chiesa nel IV secolo, cresciuto nella filosofia greca, scriveva:
«O uomo, non voler disprezzare ciò che c’è di ammirevole in te! A te pare di essere ben poca cosa ma io ti insegnerò che in realtà tu sei una grande cosa! Pensa bene quello che sei! Considera la tua dignità regale. Il cielo non è stato fatto ad immagine di Dio come te, non la Luna, non il Sole, nulla di ciò che si vede nel creato... Vedi, come di tutto quello che esiste, nulla può contenere la tua grandezza!». Gregorio Nisseno dice ancora che Dio ha dato all’uomo tutti i beni, tanto che non è possibile enumerarli, ma sottolinea che «fra tutti questi beni c’è quello d’essere affrancati dalla necessità e di non essere sottomessi alla dominazione della natura, ma di potersi determinare liberamente secondo il proprio giudizio».

Questo senso della dignità dell’uomo e della libertà del suo spirito fu testimoniato dai primi cristiani di fronte allo Stato pagano, che pretendeva d’imporre la sua religione. A chi voleva travestirla, prima del supplizio, con gli abiti delle sacerdotesse di Cerere, Perpetua rispondeva a nome di tutti i martiri: «Siamo venuti qui volontariamente, per difendere la nostra libertà; perciò sacrifichiamo la nostra vita per non dover fare una cosa simile...».
Un nuovo tipo di convivenza sociale e politica si inaugurò quando i martiri cristiani ottennero il riconoscimento della suprema esigenza della persona, la sua libertà spirituale. Ma è ancor più importante ribadire che, al di là di questi riflessi sociali e politici, l’affermazione cristiana della libertà ha portato un capovolgimento nella stessa concezione della realtà, cioè nella filosofia, tanto che Etienne Gilson ha potuto scrivere che «le filosofie greche sono filosofie della necessità, mentre invece le filosofie influenzate dalla religione cristiana sono filosofie della libertà».
Gli autori medievali continuarono a sviluppare il pensiero dei Padri che nella libertà vedevano la somiglianza con Dio. Dante riassume il pensiero di un’epoca nei versi del «Paradiso»:

Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando, ed alla sua bontate
più conformato, e quel ch’ei più apprezza,

fu della volontà la libertate,
di che le creature intelligenti
e tutte e sole fuoro e son dotate.
(Canto V, 19-21)

Ed anche molto più tardi, anche in un’epoca di opprimente assolutismo, questa tradizione di libertà continua nei più grandi maestri del pensiero cristiano. Giustamente p. Lyonnet cita s. Giovanni della Croce che vede nella libertà il termine del cammino spirituale, in quella suprema libertà che è la partecipazione piena alla vita di Dio. Ma dello stesso Dottore mistico si può ricordare l’atteggiamento meno noto di decisa difesa della libertà dello spirito; atteggiamento che gli fece dire che avrebbe preferito veder cessare il suo Ordine, piuttosto che vederlo privo di libertà all’interno, e che gli procurò negli ultimi mesi di vita delle odiose persecuzioni per aver agito coerentemente al suo pensiero.
Ma nell’epoca moderna la concezione cristiana della libertà è andata declinando nella coscienza dell’uomo europeo. Si è assistito addirittura ad un capovolgimento, ad un «tragico malinteso». La somiglianza e la dipendenza da Dio non è apparsa più all’uomo moderno come l’origine della sua grandezza, ma anzi come motivo di schiavitù. «Quella stessa idea cristiana dell’uomo, che era stata accolta un tempo come una liberazione, incomincia ad essere sentita come un giogo» (Henri De Lubac). Si è contrapposto un umanesimo ateo, che ha preteso di fondare la libertà e la dignità dell’uomo sulla assenza o sulla «morte di Dio».

Benché forse nessuna epoca, come quella moderna, abbia proclamato la libertà dell’uomo, le tragiche vicende sociali e politiche in cui essa ha trascinato l’umanità, hanno mostrato a sufficienza l’incapacità delle concezioni razionalistiche ed atee di fondare una libertà autentica. Si è così riaperta la via ad una considerazione e ad una realizzazione nuova della concezione cristiana della libertà. Su questa via devono mettersi innanzitutto — c’è bisogno di dirlo? — i cristiani, prendendo coscienza dell’enorme patrimonio spirituale che la tradizione cristiana possiede in questo campo. Il libro di p. Lyonnet, riportandoci attraverso il pensiero di S. Paolo alla Parola di Dio che è all’origine di questa tradizione, stimola a percorrere questa strada alla quale siamo tutti chiamati. Ed è questa una seconda ragione della sua attualità.
L’opera del Lyonnet chiarisce innanzitutto la natura della libertà cristiana, che non è — evidentemente — sullo stesso piano dell’aspirazione naturale alla libertà. La libertà cristiana implica anzi una rinuncia alla propria libertà naturale (secondo la legge della Croce, che domina ogni gesto cristiano ed esige di perdersi per ritrovarsi) perché nell’obbedienza e nel servizio a Cristo si possa trovare l’autentica e definitiva libertà dello spirito. S. Agostino non temeva di dire: «Libertas vera est Christo servire», la vera libertà è rendersi schiavi del Cristo.

In secondo luogo, l’opera del Lyonnet stimola un atteggiamento morale che si ispiri alla libertà, stimola una adesione alla legge nuova, cioè al Cristo, che non sia per nulla formalismo esteriore, ma adesione interiore e piena, libera e consapevole. Qui, per trovare un modello, ancor più in là di S. Paolo, bisogna risalire a Gesù stesso, alla sua decisa opposizione al farisaismo e più ancora alla libertà della sua obbedienza al Padre: «Il Padre mi ama perché io do la mia vita... Non me la si toglie: io la do da me stesso, Io ho potere di darla e di riprenderla...» (Gv. 10, 17-18).
E se l’esempio di Gesù non bastasse, o fosse motivo troppo alto e troppo lontano, un’altra ragione — apologetica, si potrebbe dire — suggerisce ai cristiani di oggi un’adesione consapevole e volontaria, cioè libera, a Cristo e alla Chiesa. Non c’è infatti peggiore testimonianza, disgustosa persino, di quella di coloro che mostrano di aderire alla fede cristiana solo esteriormente, senza convinzione, senza impegno, quasi per costrizione. Non c’è, al contrario, testimonianza migliore e più incisiva dì quella di coloro che, nonostante le imperfezioni e i limiti di tutti, aderiscono con convinzione e con slancio e mostrano consapevolezza e libertà nel proprio atteggiamento religioso.
Non è forse significativo che gli osservatori non cattolici al Concilio siano rimasti impressionati soprattutto dalla libertà di parola dei Padri? Il miracolo della Chiesa è l’unità che nasce dalla libertà di tutti, poiché un unico Spirito tutti ispira e dirige dall’interno dal cuore.