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Medjugorje, un’indagine. La mia via per il Paradiso, sola andata

Autore:
p. Serafino Tognetti
Edizioni Il Timone, pp. 416, euro 18,90
Pubblichiamo la Prefazione di padre Serafino Tognetti al volume di Riccardo Caniato, certi che sarà un libro utile per rispondere alle domande su questo fatto che raccoglie l'umanità in ricerca e preghiera intorno a Maria

«Anche a me Medjugorje ha cambiato la vita»

Riccardo Caniato è uno dei maggiori conoscitori che vi sia nel nostro tempo del fenomeno delle apparizioni mariane. Egli dice di sé: «Non sono un teologo, né uno storico». Mi si permetta – non me ne voglia Riccardo – di dissentire. Evagrio Pontico, uno dei più grandi scrittori spirituali del IV secolo, afferma: «Teologo è colui che prega. Preghi? Sei teologo. Non preghi? Non sei teologo». Riccardo Caniato è un uomo di fede, che prega. Per lui le apparizioni mariane non sono fenomeni da studiare come si può studiare la storia di Napoleone o le conquiste di Alessandro Magno, ma sono parole dette da Cielo per la nostra salvezza, e come tale vanno accolte. Egli dunque considera quanto la Madonna dice mettendosi prima di tutto dalla parte del fedele, di colui che ascolta e si fa coinvolgere in prima persona. È uno che pratica ciò che impara, non perché deve farlo d’ufficio, ma perché quello che accoglie lo coinvolge necessariamente. E sente il bisogno di comunicarlo agli altri.
Questo testo è, quindi, autobiografico. È la vicenda di Medjugorje, certo – e in questo Caniato è uno storico – narrata senza enfasi e con grande rispetto dei fatti, ma è soprattutto la vicenda di un uomo che, viandante in questa terra come tutti noi, e come tutti noi alla ricerca della Verità, ha incontrato Dio attraverso la parola della Vergine nelle sue apparizioni. Egli sa benissimo, come tutti noi, che la Rivelazione si è conclusa con la morte dell’ultimo apostolo, ma sa anche che la comprensione della Verità viene corroborata e alimentata nel tempo dagli esempi e dalla vita dei santi, dal Magistero della Chiesa, e dalle apparizioni del Cielo.
Con questa modestia e prudenza, egli dunque racconta.
Permettetemi di inserirmi in questa scia e di raccontare quanto Medjugorje ha rappresentato per me e per la mia famiglia. Andai in quel luogo per la prima volta nel mese di marzo del 1984. Quasi nessuno in Italia aveva mai sentito parlare di Medjugorje, ed io vi andai quasi casualmente, spinto anche dalla curiosità. Ero giovane universitario, frequentavo la Chiesa, ma non pensavo né alla vita religiosa né al sacerdozio. Non trovai nulla di italiano laggiù: tutto in croato, nessun pellegrino. Durante il giorno non si sapeva che cosa fare, la chiesa era vuota e la gente del luogo lavorava. Verso le ore 17.00 ogni cosa si fermava e tutte le persone del luogo si riversavano in chiesa. Due rosari, la santa Messa, il breve momento delle apparizioni in una sorta di sacrestia laterale alla chiesa, cui seguiva il terzo rosario. Uomini, donne, bambini, giovani, vecchi: tutti erano in chiesa, compostissimi, e pregavano. Non vidi nulla di straordinario, non parlai con i veggenti: solo tutto il paese che si riversava in chiesa.
Tornato a casa, dissi a me stesso: i casi sono due: o io sono sano, e là sono tutti infatuati e fanatici, oppure là vi è la Verità e sono io che ne sono fuori.
Vissi i mesi successivi come stordito. Sentii di doverci tornare, e dopo poco eccomi di nuovo là, per altri pochi giorni. Di nuovo trovai clima di preghiera, vita in Cristo nella gente del luogo.
Tornai a casa, e in poco decisi di diventare monaco e sacerdote, cosa che feci in breve tempo lasciando casa e tutto per entrare in monastero.
Passato qualche anno, in occasione del mio sacerdozio (ottobre 1990) chiesi a mio padre, che era più o meno indifferente alla Chiesa e al fatto religioso, di venire con me a Medjugorje, per ringraziare la Vergine del dono del sacerdozio. Mi accontentò, anche se venne con scarso entusiasmo. Successe qualcosa, durante la Messa celebrata da padre Jozo Zovko. Egli aveva parlato in chiesa dell’importanza del sacerdozio, di come dobbiamo sostenere e aiutare con la preghiera i nostri sacerdoti, ecc. Al termine della Messa chiese alle persone di rimanere ferme al loro posto e che sarebbero passati i sacerdoti a benedirli uno per uno imponendo loro le mani sulla testa, come segno di sacerdotale benedizione. Invitò quindi noi sacerdoti concelebranti a scendere tra la gente, quand’ecco che dal fondo di chiesa si avvertì un certo trambusto: un uomo si faceva largo sgomitando tra la gente (la chiesa era strapiena), tipo Mosè che passa attraverso le onde del Mar Rosso, e veniva decisamente verso l’altare ad ampie falcate. Era mio padre. Padre Jozo aveva detto di restare tutti fermi, e immaginai che qualcuno lo avrebbe bloccato… Invece si fece grande silenzio. Mio babbo, arrivato di fronte a me, disse a gran voce: «Io sono tuo padre! Io sono il primo che tu devi benedire».
Da quel momento, tornato a casa, andò a Messa tutte le domeniche e si confessava regolarmente, fino al giorno della morte, dodici anni dopo.
Al di là di tutti i commenti che si possono fare su Medjugorje, questi sono fatti.
E contro i fatti, dice il proverbio, ragion non vale.
Il libro che avete tra le mani è dunque la preziosa testimonianza di un fatto, di un evento, di una realtà. Poi si può credere o non credere, argomentare e non argomentare, ma la realtà rimane, granitica, davanti ai nostri occhi: il “fenomeno” Medjugorje crea conversione e ritorno a Dio.
Riccardo Caniato poi alterna ricordi personali a considerazioni teologiche, egli che ha studiato da vicino Civitavecchia, “Rosa mistica” di Montichiari, oltre avere approfondito i contenuti di altre apparizioni del secolo scorso, anche se non tutte ancora riconosciute ufficialmente dalla Chiesa. Il libro quindi scorre fluente, e si legge d’un fiato.
A proposito di padri, ci siamo stupiti, Riccardo ed io, nel constatare che i nostri due sono morti lo stesso giorno, il 7 ottobre, memoria della Madonna del Rosario, alla cui intercessione papa Pio V attribuì la vittoria delle flotte cristiane a Lepanto il 7 ottobre 1571. «Per chi crede, tutto è segno», diceva la beata Benedetta Bianchi Porro, ed è consolante cogliere in questo segno una particolare protezione, per i nostri genitori, della beata Vergine Maria.
Quello che importa, nel mondo oggi, è il ritorno a Dio. A La Salette la santa Vergine implorò l’umanità all’osservanza dei primi tre comandamenti del Decalogo: il riconoscimento di Dio come Signore e Salvatore, la frequentazione della Messa domenicale, il rispetto del santo nome di Dio (contro la piaga della bestemmia). I dettami della vita morale vengono dopo: prima occorre rimettere in sesto la vita spirituale in una rinnovata conoscenza di Dio e nel ritorno alla vita sacramentale.
Senza Dio, siamo perduti. La santa Vergine guida gli uomini del nostro tempo all’ovile del suo Figlio Gesù, perché sa bene che questa è la cosa più necessaria e importante. Accogliere il suo invito è fidarsi di Lei. «Spògliati di tutta l’umana sapienza e prudenza – scrive il Servo di Dio don Divo Barsotti -, vuota l’anima di tutti gli idoli umani: la fede nel Figlio di Dio è bastevole a riempire la tua anima e rinnovare la tua vita. Gli apostoli non avevano che questa: la loro forza fu proprio la loro povertà. Anche oggi vi è bisogno di questa povertà perché la forza della fede ci investa. La fede. Non la cultura, non la ricchezza, non la dignità, e nemmeno la perfezione morale: la fede. Una fede assoluta, piena, che domini, sola, l’anima e la riempia, e non conosca patteggiamenti, i compromessi umani; non sappia più nulla ma questo: che Dio si è fatto uomo e vive con noi».
Gesù vive con noi. E di questa realtà presente e operante se ne fa testimone Riccardo Caniato raccontando Medjugorje. È la realtà di Cristo che chiede ancora una volta di essere accolto e di divenire, nello Spirito Santo, la nostra stessa vita. Il testo, quindi, è un ringraziamento, un umile riconoscimento dei fatti.
È libro scritto con amore, che all’Amore conduce.
E, come scrive Marthe Robin, «l’Amore non ha bisogno di nulla, solo di non trovare resistenza».

p. Serafino Tognetti