Sala, Elisabetta - L'esecuzione della giustizia

D'Ettoris Editori

Nel periodo storico in cui è ambientato questo romanzo e nella sua corretta interpretazione va quindi per me e credo anche per l’autrice, ricercata la radice dei mali attuali, in Inghilterra ma anche nei nostri paesi, che si sono ormai resi indipendenti da Dio e da qualcosa che possa chiamarsi veramente giustizia
Autore:
Vera Mazzotti
Fonte:
CulturaCattolica.it

Ho appena finito di leggere un romanzo intrigante di Elisabetta Sala, storica studiosa del periodo dello scisma inglese sotto Enrico VIII e dei suoi immediati successori, in particolare Elisabetta I. L’autrice in un altro libro da lei scritto la denomina “la Sanguinaria”. Il clima infatti che sotto il suo regno e sotto quello di Giacomo I suo successore si respira è quello dell’asfissia popolare dovuta ad un regime totalitario sempre più rafforzantesi intorno alla figura del sovrano, ormai unico capo di Chiesa e Stato. Ogni dissidenza è bollata come tradimento e vengono create le nostre care fake news per trovare il capro espiatorio illudendosi di eliminare l’ingiustizia. Il titolo infatti di questo romanzo è L’esecuzione della giustizia, dall’omonimo pamphlet divulgativo scritto al tempo da Sir Robert Burghley, il braccio destro di Re Giacomo I. Il titolo gioca sul doppio senso provocato dall’accostamento delle due parole: da un lato l’intento di chi aveva scritto il pamphlet era quello di giustificare agli occhi dell’Europa il massacro di tanti cattolici e la fuga degli stessi dalla patria sul continente per non aver voluto prestare giuramento al Re, ed essere rimasti “papisti”. Dall’altro il modo in cui lo intende la nostra autrice è il fatto che portando avanti questo sistema autoritario e autocefalo l’Inghilterra ha giustiziato la giustizia, ne ha eseguito la condanna.
Le fonti della Sala, come sappiamo dagli altri libri da lei scritti, sono attendibili e molto ella ricava dell’opera di Shakespeare, che in questo romanzo viene reso col più arcaico Shak-spere, lo scuoti-scene.
Come eviscera bene in L’enigma di Shakespeare egli infatti sarebbe un cattolico recusante: di lui infatti, pur essendo una persona in vista, niente meno che il drammaturgo degli Uomini del Re e il fondatore, insieme al suo migliore attore, Richard Burbage, del Globe Theater e del Blackfriar Theater, non esistono documenti che attestino il suo giuramento di fedeltà al Re. Morirà lontano dalle scene nella sua amena Stratford upon Avon dopo aver detto dignitosamente addio alle scene con il suo magico La tempesta. Con questo romanzo Elisabetta Sala ci fornisce un tentativo di ricostruire gli eventi a partire dalla Congiura delle Polveri, 5 novembre 1605, che nello svolgersi del romanzo è oggetto delle ricerche sempre più stringenti del protagonista, Jack Digby, figlio immaginario di uno dei complottisti, Sir Everard Digby. In Inghilterra questa data è a tutt’oggi festa nazionale con vacanze da scuola, canzoncine tradizionali e fuochi d’artificio. Ma a quanto si deduce da questo romanzo e da ricerche che purtroppo rimangono sommerse, sarebbe stata tutta una montatura di Sir Robert Burghley ai danni dei cattolici recusanti. Infatti tutti i complottisti avevano questa caratteristica. Seguendo insieme al piccolo Jack, che all’inizio del libro ha 13 anni, le vicende di quegli anni narrati dal punto di vista del figlio di un traditore, “giustamente” giustiziato, siamo quindi accompagnati dalle varie tragedie shakespeariane di quegli anni, allo svelamento del mistero. Il ragazzo, aiutato da vari incontri, incomincia a leggere e guarda queste opere come vettori di messaggi in codice per il popolo che non ne può più dell’operazione di un regno che vuole dirsi giusto sulla carne dei propri sudditi. Partendo da Macbeth, che è un po’ il dramma dominante, si torna sui passi di Amleto, per poi passare a Re Lear e attraverso altri accenni incagliarsi nell’ultima commissione, mai eseguita, se non embrionalmente, della quadrilogia dedicata agli ultimi sovrani inglesi per l’appunto, da Enrico VIII a Giacomo I e discendenza.
Un libro a lieto fine e ricco di speranza, ma che apre vasti scenari su cui riflettere anche dopo le esperienze a cui abbiamo assistito in Inghilterra proprio negli ultimi anni. Cito solo i casi di Charlie Gard, Isaiah Haastrup e l’ultimo, il piccolo Alfie Evans. Anche in questi casi il Regno Unito, in se stesso, ha difeso contro le potenze estere il suo diritto a eseguire la giustizia (doppio senso incluso) come più le faceva comodo, senza tenere conto della verità, che anzi è stata contraffatta in maniera netta e evidente.
Nel periodo storico in cui è ambientato questo romanzo e nella sua corretta interpretazione va quindi per me e credo anche per l’autrice, ricercata la radice dei mali attuali, in Inghilterra ma anche nei nostri paesi, che si sono ormai resi indipendenti da Dio e da qualcosa che possa chiamarsi veramente giustizia.