I nuovi Unni di Gianfranco Amato
Dio salvi la Regina. O meglio, che Dio ci salvi dall’Inghilterra. È questo il messaggio di fondo del nuovo libro dell’avv. Gianfranco Amato, dal titolo volutamente provocatorio, I nuovi Unni (Gianfranco Amato, I nuovi Unni.- Autore:
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Il testo di Gianfranco Amato continua a riscuotere consensi.
Presentazione di Corrispondenza Romana (di Davide Greco) Dio salvi la Regina. O meglio, che Dio ci salvi dall’Inghilterra. È questo il messaggio di fondo del nuovo libro dell’avv. Gianfranco Amato, dal titolo volutamente provocatorio, I nuovi Unni (Gianfranco Amato, I nuovi Unni. Il ruolo della Gran Bretagna nell’imbarbarimento della civiltà occidentale, con prefazione di S.E. Mons. Luigi Negri, Fede & Cultura, Verona 2012, pp. 219, € 18,00). In due sezioni e 43 editoriali, l’autore snocciola uno per uno tutti i problemi del Regno Unito, le sue incoerenze, la difficoltà di gestire una rotta ormai priva di controllo, l’impossibilità di tornare indietro. Il tutto con prosa sciolta e brillante, che unisce un’ottima capacità di fabulazione ad una conoscenza davvero mirabile del mondo anglosassone.
Leggendolo, possiamo scoprire che in Italia è ancora possibile per i non vedenti salire sul pullman con il proprio cane guida, senza temere un’interdizione religiosa musulmana (pp. 111-114), o che ci è risparmiata una lotteria a premi avente per oggetto degli embrioni (p. 215). O, infine, che possiamo evitare i pareri di docenti diritto come John Spenser, che consigliano di abbassare a tredici anni l’età per avere un rapporto sessuale consensuale, sia per necessità di «una visione più avanzata e progressiva della sessualità», sia per non criminalizzare metà delle popolazione adulta che evidentemente si trova in questa condizione (p. 79).
Il paese della libertà di parola e del politically correct è diventato uno Stato in cui si deve temere un po’ di tutto, compresa la banale quotidianità e le proprie abitudini. Nella logica di non creare disagio a nessuno, si è finiti per scontentare tutti. Facciamo un esempio. Nel 2009, il sindaco di Londra, Boris Johnson, ha invitato tutti i londinesi a partecipare, almeno per un giorno, al digiuno del ramadan per poi recarsi al tramonto in una moschea. Questo gesto, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto produrre «edificanti e istruttive lezioni» sulla convivenza reciproca. In realtà, dice Amato, l’invito ha reso tutti più infelici di prima. I londinesi si sono indignati e i musulmani hanno aumentato il loro disprezzo verso i britannici «che hanno rinunciato alla propria identità, tradizione, cultura e fede, barattandola per interessi politici di basso cabotaggio» (p. 128).
La political correctness in questi anni si è rivelata «uno strumento di feroce intolleranza nei confronti di chi osa sfidare o mettere in discussione il totem dei valori politicamente corretti» (p.57). Sembra di ascoltare René Guitton quando dice che il laicismo è pronto a mettere in discussione tutto, tranne il proprio approccio laico, e come, ormai «essere cristiani, agli occhi di molti, rappresenti un’intollerabile mancanza di buon gusto» (Cristianofobia, p.14).
Quello di Amato sarebbe un libro anche divertente, ricco di curiosità, se non raccontasse la sconcertante, superficiale realtà. Certo, c’è voluto del tempo. Una situazione così non si costruisce in pochi giorni. Nella prima sezione del libro, Amato setaccia le cause che hanno portato il Regno Unito a un tale corto circuito. L’introduzione del protestantesimo come religione di Stato, prima con il Prayer Book del 1563 e i 39 articoli di fede, poi con il Subscription Act del 1571, ha segnato una svolta decisiva. Questo evento, che molti oggi sentirebbero tutt’altro che moderno (quale laico accetterebbe l’imposizione di una religione di stato?), ha reso invece l’Inghilterra campione del laicismo.
Accogliendo i principi di Sola Fide e Sola Gratia, le opere sono passate in secondo piano rispetto all’esperienza interiore e difatti l’art. XI del Prayer Book recita: «gli uomini sono ritenuti giusti davanti a Dio solo per grazia e non a motivo delle loro opere o dei loro meriti» (p. 33). Spezzata la comunità che teneva salda la griglia sociale, si è prodotto un eccesso di individualismo con cui tutti dobbiamo adesso fare i conti. Individualismo comunque non giudicabile, proprio perché inserito nel contesto dell’interiorità e non in quello dei meriti. Si è giunti così ad uno stato teocratico che venera un dio laico, che strana confusione.
Il relativismo etico e il ruolo decisivo della Massoneria dal 1717 hanno indebolito ulteriormente la comunità, spacciando il tutto per maggiore libertà personale, ma in realtà esponendo il singolo ad ogni sorta di intemperia sociale. Fino ad arrivare alla cosiddetta Me society, una società fatta di costellazioni e isole personali, dove ognuno sulla base dei propri desideri, aspirazioni o capricci può vantare pretese a non finire. Nel 2009 la Joseph Rowntree Foundation descriveva così il popolo britannico: «isolati, soli ed impauriti» (p. 469). Quanto impiegherà l’Europa e l’Italia a diventare così?
A fronte di tutto questo, una soluzione potrebbe esserci. Gianfranco Amato la recupera direttamente dalla storia. Pur con le cautele del caso, la nostra epoca presenta vicinanze allarmanti con il declino dell’Impero Romano. Ma proprio nel periodo di maggior imbarbarimento, nel V secolo, sorse la comunità benedettina che, in virtù della centralità del lavoro e della comunità, riuscì a conservare e poi a ricostruire una civiltà che stava per andare distrutta.
Citando Alasdair MacIntyre nel suo After Virtue (1981), Amato lascia intravedere la terapia (p. 71): «Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. […] Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno governato per parecchio tempo».