Pier Paolo Pasolini, una disperata passione 5 - Drammatica conclusione di una storia

Ed ecco il vicolo chiuso: «Tornare indietro o andare avanti, in nome di chi, e come e quando?»
Indietro è l'origine rifiutata. «Avanti» è il nuovo qualunquismo di sinistra.
Il poeta rimane solo a urlare la sua disperazione.
Autore:
Bocchini, Mirella
Fonte:
CulturaCattolica.it

Indichiamo frettolosamente alcune tappe successive.
Nell'immediato dopoguerra: adesione al razionalismo laico e marxista, iscrizione al P.C.I.: vi resiste solo un anno (1947-'48).
Negli anni '50: critica radicale al P.C.I. per stalinismo culturale, conformismo di sinistra, burocratismo oppressivo (anche se tenta di mantenere con esso un fraterno dialogo fino alla fine della sua vita: cfr. “Una polemica in versi”, ne Le ceneri di Gramsci, op. cit. – pag. 125 e segg., e inoltre “Trasumanar e organizzar”, in Trasumanar e organizzar, op. cit. – pag. 75, e “Charta (sporca)”, Ivi, pag. 103 - ecc. ecc.)
E' di questi anni l'incontro fervido col sottoproletariato delle borgate romane: nasce nel poeta il mito del sottoproletariato visto come espressione di «disperata vitalità», realtà istintiva, tellurica, festosa, innocente (anche nella crudeltà): per lunghissimo tempo immaginerà che se una rivoluzione può nascere sarà da loro, così come dagli sfruttati del Terzo mondo.
1961-'64 - Messa in crisi del marxismo (non come strumento, ma come dogma fideistico), cioè dell'ideologia razionalistica e storicistica: «Ah, ah, la gara a essere uno più poeta razionale dell'altro/ la droga, per professori poveri, dell'ideologia! / Abiuro dal ridicolo decennio!» [il decennio 1945-'55 delle ferree convinzioni del materialismo storico, comunista, ecc. N.d.R.]. (Poema per un verso di Shakespeare, in Poesia in forma di rosa, op. cit., pag. 121).
Abbandonata la “maledetta casa di Dio”, è uscito ormai dalla “casa della Ragione”, dalla “noiosa Storia”, e ormai “senza dimora aaaah, adesso urlo AAAAAAH ...,, (Ibidem, pag. 119).
1964 – “Vangelo secondo Matteo”: in generale accolto con grande freddezza, a differenza dei suoi film precedenti, dalla critica di sinistra. Dal 1963-'64 in poi si precisa, s'è detto, la sua battaglia contro l'intellighenzia laica italiana e contro il clima politico-culturale dominante, che culminerà (anni '68 e seguenti) nella denuncia della contestazione extraparlamentare, “fascismo di sinistra” (Ciò che è neozdanovismo e ciò che non lo è, in Empirismo Eretico, op cit., pag. 157). Continua il dialogo critico (senza risposta) col P.C.I.: il poeta rimprovera al partito di diseducare le masse popolari, in quanto rifiuta ottusamente di vederne e valutarne politicamente la disgregazione etico-culturale, ne blandisce il consumismo, e favorisce a livello economico un “modello di sviluppo” socialdemocratico, neocapitalistico. E siamo ormai agli anni ‘70: cade nel poeta, lucido osservatore del quotidiano, sotto i colpi di una cosiddetta “cronaca nera” sempre più spietata (che è viceversa degenerazione di massa, perciò realtà politica, come riafferma) l'ultimo mito: quello del sottoproletariato vitale, gaio, ecc., che aveva - o pretendeva di avere - posto a tema della Trilogia della vita (“Decamerone”, “Racconti di Canterbury”, “Il fiore delle mille e una notte”).
Nell'estate del '75 scrive l'«Abiura della Trilogia»: il sottoproletariato romano come i Pariolini: non c'è differenza: la stessa ottusa, massificata disumanità.
A 53 anni, nello sfacelo della società dei consumi, Pasolini, giunto al vertice estremo della sua consapevolezza, sa ormai che non ci sono più soluzioni rivoluzionarie intravvedibili all'orizzonte.
Il richiamo di quella “terra cristiana”... che gli aveva lasciato «il fuoco appiccicato alle carni» si fa più alto e pungente. Tutta la seconda parte di “La nuova gioventù” (1974-'75) lo testimonia, in ogni riga, in ogni fremito del verso. Pasolini, figlio della rivoluzione (illuminista e marxista), non ha trovato nulla di meglio, nella sua assetata ricerca della vita, di quella realtà antica, di quella tradizione di popolo vero che legava i padri ai figli: «Un figlio nato lontano, / nel mondo dei borghesi, / con in mano la bandiera / della Novità, scolaro / dello Scandalo, erede / della Rivoluzione / è morto d'amore / per un mondo di foglie / bagnate dalla pioggia, / e non ha trovato mai nulla / di più dolce che quel tornare / dei Padri nei Figli». (Tornant al pais. - Quarta variante, ne La nuova gioventù (II sezione 1974), op. cit., pag. 186).
D'altra parte tornare alla Chiesa non può, per il giudizio che ha su di essa: sente questa ipotesi come un tradimento che gli ripugna, come una impossibilità per sé tanto a livello razionale che emotivo - non molto diversa dall'essere fascista: «Se volessi diventare / cattolico o fascista / non potrei, [...] Non potrei seppellirmi / in un tempo che non si muove, / e vivere da traditore». (Tornant al pais. - Seconda variante, ne La nuova gioventù (II sezione 1974), op. cit., pag. 183).
Ed ecco il vicolo chiuso: «Tornare indietro o andare avanti, in nome di chi, e come e quando?»
(La domenia uliva, ne La nuova gioventù, op. cit. pag. 200).
Indietro è l'origine rifiutata. «Avanti» è il nuovo qualunquismo di sinistra.
Il poeta rimane solo a urlare la sua disperazione.
Salò” ne è l'esito allucinante: una lunga, terribile bestemmia sull'uomo, ove anche la poesia sembra pietrificata nel disgusto.
L'osceno volto dell'odio, della morte senza senso, del sesso insozzato a violenza e abominio trafiggono di gelo le immagini, che pure a tratti grondano di pena.
Può la sofferenza per le creature umane calpestate, ancora, paradossalmente rovesciare la bestemmia in domanda?