Pasolini in Friuli 6 - «Perduta Syon, Casarsa»

Come gli Ebrei consegnano le loro cetre ai salici, demotivati al canto se la patria è lontana, allo stesso modo Pasolini teme il silenzio della parola poetica lontano dalle sue “amate rocce e boschi”.
Autore:
Chieco, Mariella
Fonte:
CulturaCattolica.it

“Agosto è sul morire (...)
O mio paese, io di già sento che le tue foglie
sono pronte a cadere. Alberi già famigliari
ecco che a me si toglie il tremante silenzio della neve. (...)
Qui non cesserà la vita. Ma ignote mi sarete
risa, fatiche, e cadenti nevi...
O nostalgia
del tempo presente! (...)”. (50)
La «prematura nostalgia» che riempiva i canti dell'estate casarsese è destinata a trasformarsi in acuto dolore per l'imminente ritorno a Bologna. Scrive nell'estate a Franco Farolfi: “Tremo all'idea della partenza. (...) Credo che non ci sia cosa più bella della vita in campagna, nel paese natío, tra semplici amici”. (51)
Dopo la scoperta di Casarsa come ideale lucus poetico e trepidante «utero linguistico», a Pier Paolo sembra che in nessun altro luogo della terra possa ripetersi lo «sciogliersi del canto al mattino». (52)

“Super flumina Babylonis, illic sedimus
Et flevimus, dum recordaremur tui, Syon.
In salicibus, in medio eius, suspendimus organa
[nostra”. (53)

Nell'esergo di una poesia, Nostalgia del tempo presente, Pasolini, ricorda le parole che il popolo ebreo in esilio rivolge all'amata e lontana Gerusalemme, e con accorata nostalgia destina il verso poetico alla sua «perduta, Syon», Casarsa:

“Quando rievocherò, sospeso il canto, (...)”. (54)

Come gli Ebrei consegnano le loro cetre ai salici, demotivati al canto se la patria è lontana, allo stesso modo Pasolini teme il silenzio della parola poetica lontano dalle sue “amate rocce e boschi”.
Lucidi e maturi, i grappoli d'uva splendono al sole dell'ormai prossimo autunno casarsese, ma il nostro poeta non aspetterà la vendemmia, l'«amica gente» continuerà le sue occupazioni, indifferente «alla figura nostalgica dell'assente». (55) Pasolini nel settembre del 1941 ritorna a Bologna «dove ha affondato radici e ricordi da molti anni, e ha antiche consuetudini e cose che si ripetono secondo un uso ormai divenuto caro (…). (56)
Ma de loinh ("da lontano"), il giovane poeta, benché “strappato e remoto” dalle terre friulane, non sospenderà il suo canto, la sua cetra continuerà a suonare, continuerà a ripetere, ricordandoli, i suggestivi suoni del dialetto friulano.

“Ab l'alen tir vas me l'aire
Qu'eu sen venir de Proensa:
Tot quant es de lai m'agensa”. (57)

Nonostante i numerosi impegni intellettuali a Bologna, non resiste al desiderio di ritornare a Casarsa, in quei posti che sempre più si identificano con la sua ambizione poetica; così anticipando il trasferimento estivo, parte per il Friuli nella primavera del '42. Qui, chiuso nel mistero e nella poeticità più accorati, Pier Paolo riprende a scrivere poesie in friulano, le quali vanno a completare la raccolta che intende pubblicare al più presto col titolo Poesie a Casarsa.

NOTE
50. Seconda elegia, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p.85.
51. PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 78.
52. Cfr. ibid, p.91.
53. In Salmo 136 (1-2) dell'Antico Testamento. I versi dicono: "Lungo i fiumi di Babilonia / sedevamo in pianto, ricordandoci di Syon. / Sospese ai salici di quella terra / tenevamo le nostre cetre".
54. Paesi nella memoria, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p.55.
55. Cfr. Al nuovo lettore di Pasolini, di Nico Naldini, in Un paese di temporali e di primule, cit. p.36.
56. Cfr. PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p.115.
57. Cfr. Tutte le poesie, tomo I, P. P. PASOLINI, cit., p. 3. Riprendiamo il già citato verso poetico di Peire Vidal per ricordare il sentimento che lega Pasolini alla terra friulana.