Pasolini in Friuli 3 - Tra Bologna e la "nuova" Casarsa

E' nell'estate del 1941, la più bella estate della sua vita, che Pier Paolo "riscopre" Casarsa nella sua più riposta bellezza campestre, «mentre la sua umanità viene assimilata a un'affascinante storia barbarica riattualizzata nei fenomeni della vita presente; vivificata dai miti popolari e da altri miti inventati dallo stesso poeta».
Autore:
Chieco, Mariella
Fonte:
CulturaCattolica.it

Nel 1936, il giovane Pier Paolo, con la sua famiglia, si ristabilisce nella «bella e dolce» Bologna (17) , dove era nato quattordici anni prima e dove lui stesso riconosce di aver passato sette anni, «forse i più belli», della sua vita. (18) Qui, nel 1939, dopo aver superato brillantemente gli esami di maturità, si iscrive alla facoltà di lettere. All'università comincia a seguire con «febbrile» entusiasmo le lezioni di storia dell'arte medievale e moderna tenute dal professor Roberto Longhi.
La vitalità segna il ritmo delle sue giornate, quella «disperata vitalità» che caratterizzerà ogni istante della sua vita, e che ha origine in quella «possibilità illogica di rassegnazione» (19) anche davanti agli eventi più tragici dell'esistenza. Scrive da Casarsa nella primavera del 1943 all'amico Franco Farolfi:
“(...) non posso rassegnarmi (...). Non ho un momento di calma, perché vivo sempre gettato nel futuro: (...) con disperazione immensa e accorata, (...) una coscienza continuamente viva e dolorosa del tempo”. (20)
Ogni estate, dopo svaghi e studi della vita cittadina, sin dall'infanzia, come per un programma rigorosamente osservato, Pasolini con tutta la famiglia si trasferisce a Casarsa, paese dove è nata e cresciuta la madre. Ma è nell'estate del 1941, la più bella estate della sua vita, che Pier Paolo "riscopre" Casarsa nella sua più riposta bellezza campestre, «mentre la sua umanità viene assimilata a un'affascinante storia barbarica riattualizzata nei fenomeni della vita presente; vivificata dai miti popolari e da altri miti inventati dallo stesso poeta». (21)
“(...) uno dei dolci miti, che, qui a Casarsa, mi nascono più generosamente e spontaneamente che in qualsiasi luogo della terra” (22).
Tutto sembra nuovo, tutto di Casarsa sembra stupirlo come se fosse il primo, esitante affacciarsi in un mondo sconosciuto ma desiderabile. Pier Paolo ha sempre cercato di appartenere al «mistero contadino» del suo popolo, sebbene costantemente con «l'ansia di sentirsene escluso»: (23) (...) “oscuro / senso le mie parole a chi di altri luoghi mi sa”. (24)
Straniero, Pasolini parla una lingua diversa, ma benché estraneo a questo mondo, chiede di appartenervi: “Il mio volo ha ali / per essere come voi”. (25)
Per tutta l'estate, Pier Paolo scrive ai suoi amici condirettori di «Eredi» (26) che sono rimasti a Bologna e insieme alle lettere invia i suoi primi esperimenti poetici. I temi delle poesie non possono che riguardare la piccola ed umile vita a Casarsa: «le opere dei contadini nelle aie e nelle stalle», «le famiglie che fanno baruffa all'aperto», i giovani “che guidano i carri nei campi” (27), i ragazzi che si destano "ed erba vanno a tagliare / nella gronda dell'alba"(28).
Alle accuse «carognette» dell' amico Luciano Serra, che in una lettera aveva sottolineato il carattere "crepuscolare" del suo linguaggio poetico, reagisce fortemente, affermando che esso, più che «umile e dimesso, se mai pecca di eccessiva ridondanza e ricercata aulicità». (29)
“Il piccolo mondo di Casarsa non viene affatto proposto come un nido regressivo; anzi, viene sempre con più forza dichiarata la sua qualità di metonimia della realtà, sia essa degli istinti, della tradizione, della storia o del mito”. (30)
In Pier Paolo c'è la volontà di appropriazione della realtà attraverso la poesia, e questa
«non nasce per se stessa, ma vive (...), di avvenimenti umani» (31) Leggendo le lettere dell'estate del 1941, è sorprendente considerare la sua notevole produzione poetica (quasi due poesie al giorno). Non crediamo che per il nostro poeta si possa parlare di nevrosi o schizofrenia creativa, ma di pura e assoluta vocazione letteraria; in lui, «ergastolano della propria vocazione», c'è, come scrive Walter Siti «l'allegria di chi ogni giorno ha voglia di divorare, - scrivendola la realtà». (32) D'altronde, lo stesso Pasolini "canta":
“Ciò che non esprimo muore.
Non voglio che nulla muoia in me”. (33)

NOTE
17. Fino al 1936 la famiglia Pasolini aveva seguito il padre ufficiale di carriera in fanteria nei suoi vari trasferimenti (Parma, Belluno, Sacile, Idria, Cremona, Scandiano).
18. A Tonuti Spagnol, Roma, 3 aprile 1946, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 244.
19. A Franco Farolfi, Casarsa, primavera 1943, in ibid., p. 169.
20. In P. P. PASOLINI, Vita attraverso le lettere, cit., p. 67.
21. Cronologia, a cura di Nico Naldini, in PASOLINI, Romanzi e racconti 1944-1961, tomo I, cit., p. CLV.
22. A Luciano Serra, Casarsa, 12 agosto 1942, in PASOLINI, Vita attraverso le lettere, cit., a, 61.
23. Cfr. ibid, p. 10.
24. Nostalgia di un tempo presente, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 52.
25. Uomo come voi, in ibid, p. 58.
26. Pier Paolo Pasolini, Roberto Roversi, Luciano Serra e Francesco Leonetti sono letterati in erba che covano l'idea di fondare una rivista che dovrà intitolarsi «Eredi». Il suo programma ambiziosissimo è filtrare la modernità attraverso la tradizione. Benché la rivista non possa uscire subito per le disposizioni ministeriali sull'uso della carta, i quattro poeti si lanciano nell'impegno di pubblicare entro breve tempo un libretto di poesie dividendo la spesa della stampa.
27. Cfr. Al nuovo lettore di Pasolini, di Nico Naldini, in Un paese di temporali e di primule, cit., p. 29.
28. Cfr. Ritorno al paese, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p 48; corsivo nostro.
29. A Luciano Serra, Casarsa, 20 agosto, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 80.
30. Cronologia, a cura di Nico Naldini, in PASOLINI, Romanzi e racconti 1944-1961, tomo I, cit., p. LXXI.
31. In PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 91.
32. Tracce scritte di un opera vivente, saggio di Walter Siti, in Romanzi e racconti 1944-1961, tomo I, cit., p. XIII.
33. «Ciò che non esprimo muore», in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 669.