Associazione Cultura Cattolica

I personaggi di G. K. Chesterton: il poeta 1 – Dorian Wimpole

Il primo poeta che prenderemo in considerazione vive tra le pagine del romanzo “L'osteria volante”. Lo abbiamo scelto perché protagonista di una interessante conversione.
Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it

Non c'è romanzo di Chesterton in cui non compaia un personaggio "poetico". Poetico contrapposto a pratico, razionalista, uomo di mondo. Ne “Le avventure di un uomo vivo”, poetico è Innocenzo Smith, tetramente pratico e quasi cinico il giornalista che lo difende, Moon, razionalista il criminologo che rappresenta l'accusa, uomo di mondo il medico, vittima dell'ormai inutile pistolettata di Innocenzo. Poetico e stravagante è Evan McJan, pratico e sensato Turnbull, nel romanzo “La Sfera e la Croce”. Poeta in senso stretto è poi Syme, protagonista principale o primo inter pares de “L'uomo che fu Giovedì”. Adam Wayne, “Il Napoleone di Notting Hill” è poeta, anche se privo di talento: e proprio per questo, non riuscendo a scrivere la propria poesia, la vivrà, trasformando il mondo; d'altronde il suo primo tentativo poetico aveva attirato l'attenzione positiva, se non del pubblico, della critica. Autori di ballate sono sia Dalroy che Pump, benché più il primo del secondo, ne “L'osteria volante”. I poeti sono una categoria che destava in Chesterton una viva simpatia e che per questo raramente mancava nei suoi romanzi. Certo tra la poesia ed il buon senso, se per buon senso si intende l'essere prosaici, e magari increduli, Chesterton era calorosamente a favore della prima, rispetto al secondo. D'altra parte basta leggere le sue descrizioni di paesaggi, specie quelle dei tramonti, piene di colori incredibili e di certo assai inusuali, per rendersi conto che c' era in lui una vena di autentica poesia, se anche non si voglia tener conto della sua produzione in versi, che fu tra l'altro la prima ad essere favorevolmente notata dalla critica.
Tra i tanti poeti che emergono dalle pagine dei romanzi di Chesterton ne abbiamo scelti due, che meglio degli altri ci potranno guidare a scoprire che cos'è, al di là della capacità di comporre versi, la poesia per Chesterton.
Il primo poeta che prenderemo in considerazione vive tra le pagine del romanzo “L'osteria volante”. Non abbiamo ancora avuto modo di parlare di questo romanzo, tuttavia ci basta per ora sapere che narra la lotta di due rappresentanti del popolo, Dalroy e Pump, contro il perfido Lord Ivywood. Il personaggio che qui ci interessa è Dorian Wimpole, poeta di professione e di successo, cugino di Lord Ivywood, di nobili natali e di notevole ricchezza. Lo abbiamo scelto perchè protagonista di una interessante conversione. Quando lo conosciamo, a fatica lo si potrebbe distinguere dal cugino: ricco, raffinato, freddo, aristocratico, vive in una rarefatta atmosfera di lusso. Anche la sua poesia è ricercata ed astratta: è diventato famoso con una raccolta di poesie che esaltavano le ostriche e non in senso culinario; la sua fama è proseguita con un'altra raccolta di poesia dedicata a descrivere gli amori dei più esotici fra gli abitanti dello zoo. Insomma l'occasione della sua poesia è sempre qualcosa di astruso, di lontano dalla comune esperienza e di inumano. Malgrado però egli fosse astratto, sofistico, viziato: “Un uomo reso sterile da un mondo pieno di falsità” (GKC, L’Osteria volante, pag. 241), tuttavia, nota Chesterton, “L'asino era proprio un vero asino, e il poeta un vero poeta” (Ibidem, pag. 221).
L'asino, che è un vero asino, ha una funzione importantissima nella vicenda: si può dire infatti che esso è la causa prima della profonda conversione di Dorian Wimpole. Il poeta infatti, come d'altronde il cugino Filippo Ivywood, ha sostituito la fede con l'adesione ad una causa. La differenza fondamentale tra queste due è che la prima è sostanzialmente pratica, la seconda sostanzialmente astratta. Capisce benissimo la differenza persino il cane Qoodle: Lord Ivywood era favorevole alla causa dei cani, ma del tutto incapace di provare affetto per il proprio cane, Qoodle, appunto: cosicchè il cane, più interessato all'affetto e alla considerazione personale che al rispetto dei propri astratti diritti, lo abbandona unendosi ai due proprietari della Osteria Volante, Dalroy e Pump. Ugualmente Dorian Wimpole si commuove davanti all'asino di Pump e Dalroy, "costretto" a tirare il carretto; mentre, dal canto suo, ha costretto il proprio autista a guidare ininterrottamente dal mattino, senza lasciargli, per distrazione, il tempo di pranzare. Fa così fermare l'automobile per contestare a Dalroy il diritto di usare l'asino per tirare il carretto, e l'autista, esasperato da questo nuovo ritardo se ne parte all'improvviso, con a bordo Pump con il formaggio e il rum che questi gli ha caritatevolmente offerti, e all'ultimo istante anche il cane Quoodle e Dalroy, balzato sull'auto per recuperare il cane. Il poeta che celebrava le ostriche e i loro enigmatici ed estranei sentimenti, si ritrova ad affrontare la notte e la foresta con l'unica compagnia del paziente asino di Pump, che non vuole cavalcare, non come Dalroy, per timore dell'augusto paragone (Cristo), ma per adesione ad una astratta causa.
Matura in queste circostanze il suo radicale cambiamento, che Chesterton riassume in sette passi o stati d'animo successivi. Il primo stato d'animo è l'odio verso l'autista che lo ha abbandonato; sembrerebbe di no, ma è già un progresso: infatti “per bene amare un individuo bisogna odiarlo. [...]. Desiderare di ucciderlo è riconoscere che esiste”(Ibidem, pag. 242).
L'odio è un sentimento, e come tale è già un progresso, per un uomo che vive di astrazioni. E' più leale odiare un uomo, che ignorarlo totalmente e considerarlo alla stregua di una cosa, o peggio ancora come un’appendice di una cosa, come l'autista dell'automobile.
Recriminare tuttavia non serve a nulla, e dopo un po’ il poeta diventa consapevole della sua solitudine nella vasta foresta. L'asino gli diventa all’improvviso caro. “Si accorse anche che fino ad allora non aveva mai amato alcun animale. I suoi poemi erano stati sinceri, ma freddi. Quando asseriva di amare un pescecane, egli voleva dire che non aveva alcun motivo per odiarlo [...]. L'asino era un compagno, non una mostruosità. Gli era caro perchè gli era vicino e non perchè fosse lontano. [...] Gli ricordava l'uomo più di qualsiasi altra cosa lì attorno, perchè aveva occhi per vedere e orecchie per udire, anche se queste ultime erano un po’ troppo sviluppate". (Ibidem, pag. 243).
Questo secondo stato d'animo è un ritorno all'umanità, come qualcosa degno di essere celebrato più delle ostriche. La mancanza reale degli altri esseri umani gliene fa comprendere tutto il valore, e situa anche al giusto posto l’amore per gli animali: essi gli diventano cari in quanto simili all'uomo, più del resto della natura. Questo tipo di considerazione si estende anche al terzo stato d'animo, che è l'ammirazione per il bosco notturno: “Quella bellezza aveva in sé qualche cosa di umano. [...] Un'idea che egli aveva udito chiamare "immagine di Dio" (Ibidem, pag. 244).
Ammirando la natura con lo stupore grato di un bambino e non con l'abitudine a trascegliere dell'esteta, Wimpole si ritrova ad apprezzarla vieppiù quanto più è umana: gli alberi sembrano, se non uomini, giganti. Wimpole è così tornato alla natura e all'umanità.