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I personaggi di G. K. Chesterton: l’umorista 1 – Auberon Quin

La caratteristica prima dell'umorista, malgrado il nome, non è quella di far ridere; la sua è una figura tragica: egli è l'uomo che vede la verità ma per il quale la verità non ha alcun senso.
Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it

Auberon Quin, l'umorista, è il co-protagonista del romanzo “Il Napoleone di Notting Hill” assieme al patriota Adam Wayne. Di questi è l'antagonista filosofico, benché nella guerra narrata dal romanzo Auberon Quin, che è il re, sia dapprima neutrale per poi alla fine schierarsi decisamente dalla parte del patriota e perdere la vita al suo fianco nell'ultima battaglia. Adam Wayne stesso, nell'ultimo colloquio che si svolge dopo la loro morte, legge il loro rapporto in chiave di una contrapposizione/unità, come il rapporto di contrapposizione uomo/donna che nel generare diventa però una unità, nella diversità e nella contrapposizione stessa. L'aspetto fisico di questo personaggio, descritto come basso e robusto, con occhi e testa tondi, che lo fanno assomigliare ad un incrocio tra un infante e un gufo, ricorda quello del personaggio più famoso di Chesterton, Padre Brown. La somiglianza non è per nulla casuale: anche l'umorista, come il sagace investigatore, vede più e meglio di tutti quelli che lo circondano. L'umorista è colui che sa vedere oltre il banale; ma al di là del banale Auberon Quin, a differenza di Padre Brown, non vede che l'assurdo. In uno dei suoi racconti gialli Chesterton fa dire a Padre Brown, prima della soluzione del mistero: “Qualcosa è accaduto a noi, che raramente accade agli uomini: forse la peggior cosa che può accadere! [...] Abbiamo scoperto la verità e la verità non ha alcun senso”. (GKC, I racconti di Padre Brown, pag. 113).
La caratteristica prima dell'umorista, malgrado il nome, non è quella di far ridere; la sua è una figura tragica: egli è l'uomo che vede la verità ma per il quale la verità non ha alcun senso.
All'apertura del romanzo Auberon Quin sta tediando due suoi amici, tra cui Barker, il politico, raccontando aneddoti comici che non sono tali, che non contengono quel rovesciamento da cui si origina la risata, ma che lui invece sostiene essere divertentissimi. I due reagiscono irritati perché non capiscono ciò che egli vuol dire e cioè che la vita stessa è comica nel senso che è assurda: tutta la filosofia di questo personaggio è magistralmente riassunta in una sua battuta: “Ma la vita è una triste burla”. (GKC, Il Napoleone di Notting Hill, pag. 123).
Auberon Quin è umorista nel senso che vede le cose solite da un punto di vista insolito, cosicché esse da banali divengono ai suoi occhi mostruose. Egli condivide con l'innocente quella novità dello sguardo che vede tutto come appena fatto, sciolto dai legami della necessità e quindi miracoloso e meraviglioso. Poiché però non arriva a vedere il loro nesso con il fondamento eterno che solo conferirebbe alle cose il loro senso, egli vede le cose come assurde. Ogni cosa dimostra ai suoi occhi “l'assoluta e totale ridicolaggine dell'esistenza”. (Ibidem, pag. 121).
Immerso nell'assurdo, fra persone che non lo colgono, egli ha fatto la sua scelta: ha scelto l'arte, come luogo che può dire l'assurdo. Sceglie di contrapporsi alle persone normali, senza mai desiderare la loro capacità di vivere "dentro" le cose, accettandole aprioristicamente, con semplicità animale, ma riproponendo continuamente se stesso come luogo dell'assurdo, e quindi dello scandalo.
Sceglie per sé l'atteggiamento dell'artista, non come creatore di opere, e quindi di senso, ma come colui che considera gli oggetti non per il loro uso, la loro utilità, bensì come oggetti in sé, irrelati, unici, sorprendenti e inspiegabili. La sua prima e più profonda contrapposizione, che lo rende alleato del patriota, è dunque contro il politico, l'affarista, che si muovono in un mondo in cui tutto è scontato, banale, mercificato, dato per spiegato e quindi privo di interrogativi che vadano al di là del tentativo di piegare le cose al proprio fine, alla propria ambizione di denaro o di potere. Questi personaggi non capiscono Quin e non lo possono capire. Egli costantemente li irrita agendo contro l'ovvio, contro “il luogo comune, sempre pronto a distruggere il bello”. (Ibidem, pag. 153).